Hai studiato la poesia?


– Hai studiato la poesia? –
Era la terribile domanda della domenica pomeriggio: se non la sapevi ridire bene, niente cinema o pallone ma “Silvia rimembri ancora” o “L’albero a cui tendevi“.
Sevizie d’altri tempi, il dover mandare a mente le poesie: ma, a parziale riscatto di quegli antichi metodi didattici, ecco qui un gioco che consentirà di brillare proprio grazie a quegli sforzi mnemonici del tempo che fu.
L’ho chiamato appunto “Hai studiato la poesia?” ed è rivolto a un esclusivo pubblico di eruditi accademici o antichi studenti di poesie a memoria.
E non si speri di poter chiedere aiuto a Google per avere un posto al sole in classifica…
Per cimentarsi, cliccare su questo link: Hai studiato la poesia?

La Voce di Dio


Se, come si legge nel Vangelo di Giovanni, “In principio era il Verbo” quello che pare abbiano ascoltato in Antartide i ricercatori dell’esperimento BICEP (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) deve essere proprio quel verbo.
I primi vagiti dell’universo, voce del verbo “essere”, declinata dalle sfuggenti onde gravitazionali che avrebbero trovata conferma sperimentale cento anni dopo la loro previsione da parte di Einstein.
La cosa non è ancora certa: è annunciata per domani una importante conferenza stampa all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e i rumors sembrano indicare che si tratti proprio della scoperta del secolo.
E se il primo vagito dell’universo non sarà un verbo come pretendeva Giovanni, sarà di sicuro un aggettivo o un sostantivo, tipo “Big” e “Bang”.

Scienziati in trepidazione: hanno ascoltato i primi vagiti dell’Universo? – Repubblica.it

200 personaggi in cerca di autore




Non esistono grandi romanzi senza grandi personaggi: in questo personalissimo vademecum Fabio Stassi (“Holden, Lolita, Zivago e gli altri”, minimumfax, 2010) ha creato duecento ritratti di protagonisti e comprimari dei migliori romanzi italiani e stranieri del secondo Novecento: ciascuno si presenta al lettore in prima persona, rituffandolo nelle pagine che ha già conosciuto e amato e invitandolo a scoprirne di nuove.
Questa versione online è in forma di quiz e consente di misurare la propria capacità di riconoscere gli autori dei personaggi descritti

Da libri che datano dal 1946 fino alla fine del millennio, balzano fuori, presentandosi in prima persona, 200 grandi personaggi.
Si tratta di trovare il loro autore: per alcuni – pochi credo – basterà la prima riga della presentazione; per altri – non tanti di più, se non si è davvero dei lettori “fortissimi” – bisognerà leggere e ponderare l’intera pagina di presentazione. Forse parecchi di più, specie quelli che seminano indizi precisi, potranno essere identificati gugglando: ma trovarli tutti, google o non google, non credo sia facile come può sembrare, ovviamente senza avere alla mano il bel libro di Stassi.
Per partecipare basta andare qui: Duecento personaggi in cerca d’autore

Piccola Bottega degli Orrori


Non tutti possono permettersi di avere per mano un teschio brillantato di Damien Hirst o uno dei Teschi di Cristallo precolombiani, veri o falsi che siano.
Però qualche piccolo orrore col volto della morte l’ho collezionato anch’io; e quello che ho ereditato da poco mi ha pure riservato una sorpresa inaspettata.

Il primo teschio della serie è una “vanitas” di mano non eccelsa e di epoca non troppo antica che tuttavia, grazie a una cornice di ottima fattura ebanistica fa la sua notevole e orrenda figura:





Erede di una tradizione pittorica nata col la peste che attraversò l’Europa nel XVII secolo, la “vanitas” (che deve il suo nome al noto passo biblico dell’Ecclesiaste) è una natura morta finalizzata a ricordare l’inesorabile scorrere del tempo che ci porta alla fine: teschi, candele, carte da gioco, orologi e clessidre, ecc.


Molto più inquietante, specie nella foto che non permette di valutarne le piccole dimensioni, è questo teschio in avorio, privo della mandibola, forse parte di un piccolo scheletro snodato.





Lo sguardo maligno che pare uscire dalle vuote cavità oculari e l’innaturale mancanza della mandibola lo fanno forse rassomigliare a un incubo alieno di Hans Ruedi Giger piuttosto che al familiare contenitore della nostra mente.


Mi risulta viceversa più incomprensibile la ragione che ha condotto un paziente artigiano a intagliare e rifinire questa simpatica cassa da morto:





Anche se già sufficientemente evocativa della Falciatrice, il suddetto artigiano ha pure voluto completare il lavoro intagliando nel legno, all’interno il suo ovvio contenuto:





Infine, piuttosto in alto, non troppo in evidenza, è sempre stato appeso al muro della casa dei miei questo “Trionfo della Morte”, con un teschio al centro di una ricca ghirlanda dorata.





E’ questo che intendevo, quando ho parlato di sorpresa inaspettata: quando l’ho preso giù dal muro, mi sono accorto che si tratta di due cose distinte e messe insieme dal gusto un po’ macabro di mio padre.
Il teschio, in terracotta, non ha nulla da spartire con la cornice ottocentesca in cui è stato incastonato, anche se, come si vedrà, anch’esso è sicuramente databile agli anni centrali dell’800.





Infatti, come denunciano i numeri che si vedono a istoriarne le diverse aree, il teschio è evidentemente un oggetto didattico figlio di quella teoria ideata e propagandata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758 – 1828) che tanto successo ebbe nel corso del XIX secolo, la Frenologia.





Sebbene bollata come pseudoscienza e pressoché scomparsa prima del volgere del secolo, la frenologia, secondo la quale le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolari zone o “regioni” del cervello, è in qualche modo confermata dai recenti studi che analizzando l’attività cerebrale con la tomografia ad emissione di positroni, sono in grado di stabilire che effettivamente determinate funzioni cerebrali risiedono in zone specifiche del cervello, come sosteneva appunto la frenologia.
Un’accurata ricerca in questo campo potrebbe presto condurre ad identificare la zona del cervello che presiede alla infelicità e magari, con un colpetto di martello ben assestato nella zona giusta, rendere felice il soggetto trattato; rimarrebbero tuttavia esclusi da questa panacea universale i non pochi soggetti, tanto frequenti su questi forum, per i quali, all’interno del cranio, è impossibile individuare qualsiasi traccia di sostanza cerebrale…

Pesanti effetti collaterali della Poesia Dorsale


Non è facile impilare (cfr. http://forum.termometropolitico.it/25021-perche-non-provate-anche-voi.html) un componimento sensato usando solo i dorsi dei libri che si hanno in biblioteca; anche avendone tanti, anche ricorrendo alle ardite ellissi e ai voli pindarici che la poesia consente.
Occorre infatti dare fondo ai più reconditi e polverosi anfratti degli scaffali e ripassarsi anche quelli disposti in seconda fila perché provenienti dall’eredità della vecchia zia.
E così, per comporre una ignobile “Tragedia in sei battute” ad imitazione di quelle “in due battute” di Achille Campanile (in appendice a questo sproloquio ne riporto una, “Perché?”, titolo breve e interrogativo, molto pertinente a ciò che sto per raccontare), sono incappato in una vergognosa disavventura.
Proprio dalla seconda fila dello scaffale della vecchia zia, ho trionfalmente estratto il titolo che cercavo, ottimo e commendevole per una delle sei battute che mi servivano: “Quale?”.
Già mentre componevo la pila per la fotografia d’obbligo, un sottile tarlo ha iniziato a rodermi la mente.
“Quale?”, che strano titolo… “Quale?” cosa?, “Quale?” chi?
Dicono che la curiosità sia femmina, non credeteci; per di più, il libretto rilegato in tela blu, del 1941, pareva deltutto inoffensivo: e per venire a capo del tarlo e della curiosità, mi sono risoluto a leggerne almeno le prime pagine.

– Shirley, che c’è? Che cosa fanno qui queste due bambine? E chi era quell’individuo che è uscito senza salutare?
– Non lo so, mylord, sono dispiacentissimo…


Lo so, alla scoperta che Shirley era un uomo e soprattutto all’entrata in scena del mylord avrei dovuto correre a riporre il libretto nel suo buio scaffale.
Sono un debole, non l’ho fatto.
Ho continuato a leggere fino alla fine del volume e, vergogna delle vergogne, sono andato a cercare anche il seguito (le disgrazie non vengono mai sole, infatti questa era in due volumi e il primo finiva sul più – diciamo così – bello).
Insomma, per colpa della Poesia Dorsale, mi sono bevuto un intero doppio romanzo rosa di M. Delly, narrante di come la scontrosa orfanella italiana, Orietta, faccia innamorare di se (ricambiandolo) l’altezzoso Lord di Shesbury, dopo le inevitabili peripezie del caso, che se ne facevano venti “Orgoglio e Pregiudizio”, scusate l’anacoluto.
Racconto questa triste vicenda per due ragioni: prima di tutto per espiare la vergogna del fatto e poi per mettere in guardia gli incauti partecipanti a questo innocente gioco online.
Se vi capitasse in mano un libro come questo, dal titolo accattivante ma sconosciuto, impilatelo, fotografatelo e riponetelo immediatamente; mi raccomando, NON APRITE QUELLA PAGINA.
L’unico lato positivo della vicenda è che adesso so “Quale?” (tra le due bambine) e perché Orietta Berti (1945) è stata battezzata così.




Appendice:


PERCHÉ? (Tragedia in due battute di Achille Campanile)


Personaggi :
IL VECCHIO CENCIOSO
IL PASSANTE

In una strada, ai giorni nostri.
All’alzarsi del sipario IL VECCHIO CENCIOSO va raccogliendo mozziconi di sigari sul
selciato.


IL PASSANTE: Ma perché andate raccogliendo mozziconi per la strada?

IL CENCIOSO: Caro signore, sigari interi non mi riesce di trovarne.


(Sipario)

Dallas Buyers Club


Dopo un’ora che lo stavo vedendo mi chiedevo “ma quando salta fuori Matthew McConaughey?” poi ho realizzato che quello scheletrito texano che avevo sotto gli occhi dall’inizio del film era lui.
Vabbè, forse non sono fisionomista, però nemmeno nel cameo fatto nel “Lupo di Wall Street” vicino a Di Caprio l’avevo riconosciuto (di Caprio sì, subito).
Comunque era dai tempi del Robert de Niro di “Toro Scatenato” che non vedevo un attore trasformarsi in maniera così totale.
Secondo me gli danno l’Oscar come miglior attore e anche quello per gli effetti speciali.

Metti una sera a cena


Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.

(Luca, 24:30-31)




A sinistra c’è Cleopa, fratello di San Giuseppe e quindi zio di Gesù, oltre che suo discepolo; quindi doveva conoscerlo benissimo: eppure, stando al racconto di Luca, fecero sette chilometri insieme a piedi fino a Emmaus e solo quando Gesù, a cena, spezzò il pane e lo benedisse, si accorse che si trattava di suo nipote.
E’ questo il momento che viene immortalato da tutti i maggiori pittori, da Tiziano a Caravaggio a Rembrandt, Pontormo, Vermeer e tanti altri tra cui quello – un po’ speciale – di Tommaso Minardi che vedete sopra.
D’altra parte, immediatamente dopo questo momento topico, Gesù, stando sempre al racconto di Luca, scompare improvvisamente e quindi viene meno il soggetto di principale interesse, almeno dal punto di vista religioso.
Tutti gli artisti hanno cercato di rendere la sorpresa negli occhi e nei gesti di Cleopa quando riconosce Gesù ma nessuno ci ha provato con quella, ancor maggiore, che deve aver provato lo zio vedendosi scomparire il nipote di punto in bianco.
Ho definito “un po’ speciale” la “Cena di Emmaus” di Minardi che vedete sopra per due ragioni: la prima è che è appesa a una parete di casa mia e alle 9 di mattina del solstizio d’inverno, se è una bella giornata di sole, il mio dipinto si trasfigura e diventa così:





I raggi del sole, a quell’ora e in quella data, entrano dalla porta finestra che da’ sul giardino con una angolazione che riprende esattamente quella che esce dalla piccola finestra che illumina la tavola e il volto di Cleopa, contrastando fortemente luci ed ombre quasi volessero trasformarlo in un inedito caravaggesco.





Il mio dipinto è inoltre una seconda versione semplificata di un’altra “Cena di Emmaus” dello stesso autore che si trova nella Pinacoteca Comunale della sua città natale:



Come vedete, nel mio quadro non manca una misteriosa sparizione: ma invece di Gesù, la superstar della cena, Minardi ha fatto sparire solo il garzone che porta la frutta: ciò rende il mio quadro più completo anziché incompleto perché oltre alla cena vi si raffigura anche una misteriosa sparizione.
Deve essere anche per questa sua caratteristica che spesso mi soffermo a guardarlo, per verificare che non mi ci sparisca tutt’a un tratto anche il Gesù, come da Vangelo, e l’anno prossimo i raggi del sole nel solstizio d’inverno non illuminino una triste sedia vuota…

Body Hackers


L’ultima frontiera dell’hi-tech sono i body hackers.
Quando entrava in classe, il mio professore di filosofia spalancava sempre le finestre, anche se fuori gelava.
Se qualcuno diceva: “Ho freddo”, quello partiva sostenendo che “il freddo non esiste! imperrocché essendo il freddo non altro che mancanza di caldo, ed essendo la mancanza qualcosa che non c’è, ne viene che appunto il freddo non esiste”.
Però faceva un freddo cane.
Ma oggi, grazie ai body hackers del MIT, esiste questo dispositivo che mi avrebbe consentito di non patire il freddo oltre che dimostrare l’esattezza della tesi del suddetto professore.


In pratica, l’aggeggio manda impulsi di caldo (o di freddo, se fa caldo) al polso e la cosa, trasmessa al cervello, ci fa sentire al calduccio come se si fosse aumentata la temperatura della stanza: una vera operazione di body hacking che frega il cervello facendogli credere che sia più caldo di quel che è.
A sentire i professori del prestigioso MIT, la cosa funziona e presto verrà brevettata e commercializzata (Can This Bracelet Actually Replace a Heater? | Innovations).
A me è solo venuto un dubbio: la mia vecchia nonna, che quando aveva freddo si metteva intorno ai polsi un manicotto di pelliccia, lo sapeva che stava facendo body hacking?

Una donna di nome Maria


Tra le incombenze di una divisione ereditaria c’è anche quella di spartirsi le suppellettili e i quadri appesi alle pareti.
Visto che erano abbastanza, abbiamo deciso di incaricare un esperto di dare una valutazione di massima a ogni oggetto in modo da pareggiare i conti, dopo esserceli divisi in base al gusto o alle possibilità di spazi a disposizione.
Tra gli oggetti che l’esperto ha ritenuto di non dover nemmeno classificare, dopo avergli dato una veloce occhiata, (quindi valutazione a 20/30€ al mercatino per la cornice) c’è questa piccola tempera che raffigura una bambina in abito cinquecentesco:



Evidentemente l’esperto ha ritenuto impossibile che di tratti di un ritratto cinquecentesco e quindi lo ha classificato come opera moderna in stile, di nessun valore.
Ma io, guardandolo più da vicino e passandolo allo scanner vi ho trovato alcuni particolari interessanti:


La bambolina che tiene nella mano destra


L’anello al mignolo


Lo stemma mediceo



e mi sono chiesto se la bambina rappresentata è un’immagine di fantasia o davvero il ritratto, moderno o antico che sia, di una De’ Medici.
Il più noto ritratto di una discendente dei Medici dell’epoca è il ritratto fatto da Agnolo Bronzino e che generalmente si ritiene raffiguri Maria di Cosimo I de’ Medici:




La somiglianza è molto scarsa, semmai il mio quadretto si avvicina a un altro ritratto del Bronzino, che era ritenuto sempre di Maria de’ Medici, almeno fino agli anni ’50; e che uno studio critico recente (The True Faces of the Daughters and Sons of Cosimo I de’ Medici) riattribuirebbe appunto a Maria de’ Medici, passando alla cugina Bia il precedente.




Questo, si avvicina molto al mio quadretto (come “inquadratura”, la sedia, i pizzi, la collana, la catena) e forse ne può essere stata l’ispirazione;
La bambina, cresciuta, potrebbe anche essere – secondo lo studio citato prima – una “dama ignota”, sempre del Bronzino.




Quindi ecco qui le possibili tre Marie a 10, 12 e 17 anni:



Certo la somiglianza resta sempre un po’scarsa, ma va detto che se c’è una cosa certa è che il mio quadretto non l’ha fatto il Bronzino, al massimo un branzino o un ronzino.
Che dite dunque, è una donna di nome Maria o mi sono fatto influenzare dai versi della bella canzone di Lauzi?

Ha portato due labbra di corallo
E i suoi occhi son grandi così,
Mai nessuno che l’abbia baciata
A nessuno ha mai detto di sì.

Una misteriosa storia circolare


Questo vecchio calderone turchesco che ho recuperato dalla soffitta dei genitori non è né particolarmente antico né di fattura eccelsa.
Tuttavia la superficie istoriata del medesimo è divisa in sette “vignette”, sette scene che sembrerebbero far parte di una storia che non è facile decifrare.



Anzitutto non è facile stabilire dove inizia e dove finisce la storia; e anche stabilire se la progressione temporale è in senso orario (da sinistra a destra) o in senso antiorario come la scrittura calligrafica araba che decora le fasce superiori e inferiori del calderone.
Comunque ecco le sette scene, in senso orario e con partenza arbitrariamente scelta, per chi volesse azzardare una qualche interpretazione:


Il sole, le stelle e una principessa(?) chiusa in una teca trasparente




un Re, o un Sultano, a cui i cortigiani porgono uno scritto




un giannizzero in armi al centro di una scena poco chiara




Una regina che taglia un pezzo di sottanella a un paggio(?), sulla sinistra la teca con salma e uno strano marchingegno




I cortigiani, vil razza dannata, con pesci in mano(?) o sacchetti di monete(?), una donna accoccolata con una treccia in mano




Una donna seminuda (o il paggio di prima?) davanti a un pozzo, i cortigiani col pesce/sacchetto in mano




la medesima/o (adesso rivestita) viene calata (o recuperata) dal pozzo



Insomma, un vero esempio di Misterioso Oriente…