Il nome segreto di Roma



loannes Laurentius Lydus, 490–565 dopo Cristo, fu un burocrate della prefettura imperiale di Costantinopoli, ai tempi di Giustiniano.
Ma fu anche un accanito investigatore di antichità romane e le sue opere sono importanti soprattutto per il fatto che disponeva di fonti molto antiche e ormai scomparse, da cui attingeva informazioni di prima mano sulle origini di Roma.
Nel suo “De Mensibus”, in cui tratta delle festività dell’anno romano, racconta che Roma aveva altri due nomi: uno sacro e mistico da usarsi per cerimonie e riti e uno iniziatico e segreto, che poteva essere pronunciato solo dal Pontefice Massimo.
Questi nomi sarebbero stati dichiarati dal fondatore Romolo, al suono del lituo (il bastone-tromba), appena ricolmata la fossa di fondazione.
L’esistenza di un nome segreto di Roma è attestato anche da altre fonti (Plinio il Vecchio, Macrobio, Solino e Servio) ed era accuratamente protetto in quanto si riteneva che nel nome segreto risiedesse il destino di una città.

Ormai compiuto il destino di Roma che dal 476 non era che un borgo alla periferia dell’Impero, Ioannes Lydus non ha difficoltà a svelare gli altri due nomi, che si aggiungevano a “Roma”, nome politico e di uso comune.
Quello sacro era “Flora”, divinità introdotta a Roma da Tito Tazio, il dimenticato re sabino di Roma;e a Bisanzio, sempre secondo Ioannes Lydus, per analogia fu imposto da Costantino il nome sacro “Anthusa”, che in greco significa “fiorente”.
Il nome segreto invece, come la “Lettera Rubata” di Edgar Allan Poe, era impenetrabilmente nascosto dalla sua manifesta evidenza, essendo contenuto nello stesso nome comune.
Ne era anzi il palindromo perfetto, quasi a seguire la scrittura bustrofedica che si usava all’epoca: “Amor”.

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