I misteri del sogno di Bach


Nel capitolo “I sogni musicali” del suo “Curiosità artistiche” (UTET, 1934), Americo Scarlatti, dopo aver citato il sogno che ispirò a Tartini il famoso “Trillo del Diavolo”, racconta di un altro sogno, quello a cui “è dovuto il non meno famoso Notturno di Samuele Bach, pronipote del grande Sebastiano”.
Scarlatti scrive di aver trovato questa storia nell’opera di Edmond Bonaffé “Musique retrospectique”, più o meno nei termini che di seguito riassumo.

“Samuele Bach, nel 1865, aveva comprato una vecchia spinetta sulla quale era dipinto lo stemma reale dell’antica monarchia francese”.
La portò in camera da letto e la notte stessa vide in sogno “un uomo dall’aspetto grave, con una lunga barba, un gran collare di merletti, come usava due secoli innanzi”.
L’uomo gli disse che la spinetta era sua e che gliela aveva regalata il Re di Francia, Enrico III, affinché lui lo distraesse, suonandola.
E si mise alla spinetta suonando una bellissima e triste canzone d’amore, una sua composizione per il Re.

J’ai perdue celle pour qui j’avais tant d’amour…

Bach si risvegliò, in lacrime, commosso dalla struggente melodia, e con sua gran sorpresa trovò sulla spinetta il foglio di carta da musica, che era certissimo di aver lasciato bianco prima di coricarsi, pieno di note musicali.
Tuttavia, cercando di interpretarle, risultavano del tutto prive di senso musicale, un oscuro guazzabuglio di note.
Il vecchio maestro chiamò il figlio e la figlia, “valentissimi pianisti anch’essi, perché nella sua famiglia nascevano tutti musicisti” e insieme persero assai tempo inutilmente cercando di decifrare il misterioso spartito.
Alla fine, la figlia, che aveva nozioni di storia della musica, considerando l’epoca in cui aveva vissuto il personaggio apparso in sogno al padre, ricordò che in quei tempi “la musica era scritta in chiave di ut sul primo rigo”.
Così, appena eseguita la trasposizione in notazione attuale, lo spartito divenne leggibilissimo e il vecchio Bach poté ripetere con la massima precisione la “canzone d’amore” udita in sogno; così poté dare alla luce il suo famoso Notturno.

Questa la storia, già ricca di arcane suggestioni in sè ma è altrettanto piena di strane incongruenza, piccoli misteri che sfortunatamente sono restati insoluti anche dopo un pomeriggio passato a cercarne i brandelli su Google.
Li elenco, nel caso qualcuno più fortunato o ostinato di me avesse qualche indizio in più su questa storia:

– Edmond Bonaffé, a cui la dobbiamo, è un poligrafo francese realmente esistito ma non ho trovato alcun riferimento a una sua opera “Musique retrospectique”;

– Nel citato 1865 erano già morti tutti i discendenti diretti di Johann Sebastian Bach

ma…

– quando Bonaffé scrive “come usava due secoli innanzi” fa intendere che siamo nel ‘700, visto che Enrico III di Francia è un re del ‘500: e questo ci porterebbe dritti a Samuel Anton Bach (1713 – 1781) se ipotizziamo un errore di trascrizione della data, 1865 invece di 1775

– sfortunatamente però Samuel Bach non ha lasciato alcun famoso “Notturno” e la stessa tipologia, “Notturno”, fa pensare piuttosto all’epoca romantica ottocentesca che alla metà del ‘700

– la fantomatica “chiave di ut sul primo rigo” è parimenti introvabile nella musicologia gugglabile

Insomma, un guazzabuglio non diverso da quello trovato sulla spinetta dal vecchio Bach; ci sarà mai qualcuno che ne trova la “chiave di ut” per venirne a capo?

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