Il Bastone del Diavolo


Sta appeso ad una parete della mia casa, nella sala del camino, un antico bastone intagliato nel legno di bosso.
Una testa di cane vagamente antropomorfa ne costituisce l’impugnatura e sotto di essa compare a bassorilievo un gruppo di persone.
Poi prosegue fino al tallone, seguendo le nodosità del legno.



Questo bastone ha una storia.
Non è una storia edificante o piacevole, anzi.
L’uomo che ha intagliato questo bastone era un sacerdote che nel 1526, con cinquant’anni di integerrimo e devoto servizio ecclesiastico alle spalle, reggeva la parrocchia di un paesino della Romagna, poco distante da dove abito io.
Pur essendo persona tranquilla e del tutto dedita al sacro ministero, due circostanze lo condussero alla triste ed infamante fine che in sintesi vi racconterò.
La prima circostanza è che i suoi parrocchiani, e purtroppo anche i frati inquisitori, credevano ciecamente nell’esistenza di streghe e stregoni, del malocchio e dell’andare in corso, vale a dire montare in groppa al Diavolo, trasformato in caprone e librarsi con lui nel cielo.
La seconda circostanza che lo condusse a tale fine è che invece lui, a tutte queste cose proprio non ci credeva.

Si chiamava don Domenico Tonini ed è stata la prima vittima dell’Inquisizione in Romagna nel XVI secolo.
La sua storia, annotata dal notaro Filippo Callegari, suo compaesano e coinvolto in parte nella brutta avventura, si può trovare inserita tra un rogito e l’altro del registro notarile che si conserva agli atti dell’Archivio di Stato della città di Faenza.

1526 die 15 Junij, veneris

Don Domenico che fu de Tunino de la Serore de Limixano, fu comandato a presentarse a Fenza alo inquisitore de San Francesco per chè suspecto cum la comunità, interrogato a respondere supra de la fede impura desonorata.
Jo Filippo nodaro, e Rosso de Brunoro fussimo citati per quello medesimo di presentarci.

Il giorno successivo a questa “chiamata” i tre convocati – piuttosto preoccupati – si recarono al Convento di San Francesco, sede dell’Inquisizione, per essere interrogati dall’Inquisitore Generale, fra Bernardino da Bertinoro.

Dopo l’interrogatorio, don Domenico fu subito consegnato al braccio secolare e sbattuto in prigione.
Il nodaro Filippo, interrogato non potè che parlar bene del sacerdote e delle sue opere, cercando di scagionarlo da ogni sospetto.

Intando il povero don Domenico, visto che si ostinava ad affermare la verità – cioè di non aver mai volato in groppa a caproni o stregato fanciulli, essendo cose, a suo giudizio, naturalmente impossibili – veniva sottoposto, secondo l’uso del tempo a graduale tortura:
– privazione del cibo e del sonno
– tratti di corda
– cavalletto
– morsa di ferro
– ustioni, ecc.

Naturalmente il povero vecchio finì per confessare, mentendo, tutto ciò che gli inquisitori volevano che confessasse, giungendo perfino ad accusare l’amico notaio Filippo di essergli stato compagno nella corsaria, cioè nel volo aereo in groppa al caprone diabolico.

Il povero notaio fu quindi chiamato a sostenere quello che oggi si chiama un confronto all’americana, davanti all’Inquisitore e al suo misero accusatore.

L’Inquisitore chiese al prete incatenato: – Conoscete vuj questo homo da ben? –
Don Domenico: – Messer sì: lo ser Filippo de Riolo meo compare
Inquisitore: – E’ quello ser Filippo el quale vuj havite confessato che fu vostro compagno in la corsarìa indiavolata?
Don Domenico: –Messer sì
Ser Filippo: – Perché havite vuj dato intendere alo inquisitore che jo fui vostro compagno che non è la verità?
Don Domenico: – Jo l’ho dicto per el malanno che de me dice (=che mi è piovuto addosso e che spiega il mio comportamento)
Inquisitore: – El non è dunque el vero che costui vi fu compagno in corso?
Don Domenico – Messer no.
Inquisitore – Poltrono, manigoldo, homo da niente!

Il povero prete, in un barlume di coscienza, aveva trovato almeno la forza di scagionare il suo vecchio amico.

Don Domenico Tonini venne quindi condannato e gli furono confiscati tutti i beni; l’elenco della confisca lo stese appunto il notaro Filippo, riconosciuto innocente, in un latino piuttosto maccheronico:

unum capizale, tres guanzalos, quatuor linteleos, unam cultram, unam matram a panem, unam palettam, unam cadenam ferri, una manaram, duas mescholas, unam chiotolam, unam gratusiam, unam graticulam, duos fiaschettos, ecc. ecc.

e tra le povere masserizie, troviamo elencati anche

quatuor curtellos aptos ad facendos certos baculos laboratos“,

quattro coltelli adatti all’intaglio di bastoni decorati, l’unico hobby del povero prete, il cui nome, dopo il 1526, non compare più in alcun documento.


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