Il monaco di Ponza


Abitata fin dall’epoca mitologica dai figli di Circe e Ulisse, poi fiorente colonia romana, attorno all’800 d.c. Ponza fu abbandonata a causa delle scorrerie dei pirati arabi. Nel 1734 fu ripopolata dai Borboni che vi trasferirono coloni da Ischia: questi si portarono anche le cupe leggende della Campania, tra cui la più comune è quella del “munaciello”.
E’ il 1445, durante il regno Aragonese. Caterinella Frezza, bellissima figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora di Stefano Mariconda, un garzone. Naturalmente l’amore tra i due è fortemente contrastato e finisce in tragedia. Stefano viene assassinato nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un convento. Di lì a pochi mesi nasce un bambino deforme da Caterinella. Le suore del convento lo adotteranno cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le deformità. Fu così che per le strade di Napoli veniva chiamato “munaciello”. Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare, dopo la sua morte, alla leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono; spiritello dispettoso ma capace di indicare tesori nella tradizione napoletana, in quella ponzese divenne invece un malvagio nano senza testa, rivestito da una scura tonaca nel cui cappuccio era visibile solo un vuoto di innominabile orrore.
Fin qui la leggenda.
Un giorno di settembre del 1977 un turista salito a fare foto sul Monte Guardia, trovò il corpo decapitato di una donna di giovane età in una stanza del vecchio semaforo.
Il vecchio semaforo è un edificio un po’ spettrale che sorge sul punto più alto dell’isola.Per arrivarci bisogna salire una antica strada ormai nascosta dalla macchia mediterranea; scalini intagliati nel basalto da schiavi romani e cafoni borbonici per consentire ai muli di portare alla sommità dell’isola il combustibile necessario per tenere acceso il fuoco che segnalava l’isola e i suoi scogli alle navi.
Attorno all’edificio, una vasta piana spazzata dal vento, dove l’erba alta nasconde fetidi e insidiosi stagni.
Questa è una foto dell’edificio di qualche giorno fa.

Il corpo mutilato non venne nemmeno identificato nè risultarono persone scomparse nella zona. La misteriosa morte venne però immediatamente ascritta dalla popolazione locale al “munaciello” sempre alla ricerca di una “testa”.
Quando poi, meno di tre anni dopo, il mare restituì il corpo di un marinaio, anch’esso privo di testa (sebbene per cause diciamo così “naturali”, come ebbe a certificare l’autopsia) anche nelle menti più positive cominciò a insinuarsi qualche dubbio.
E nelle notti senza luna, quando il maestrale ululava impetuoso tra gli scogli, non pochi si guardavano bene dall’avventurarsi soli in zone oscure dell’isola.
Passarono gli anni e quando avvenne il successivo (e fortunatamente ultimo) “caso”, ormai del “munaciello” assassino non si ricordava più quasi nessuno.
Nel febbraio del 1996, scomparve un ragazzino di 13 anni, Silverio di Fazio. Era stato visto salire verso il vecchio semaforo e quindi vennero scandagliati gli stagni, le vecchie cisterne romane a cielo aperto e gli anfratti nascosti tra la macchia mediterranea.
Il corpo non fu trovato, ma, non lontano dal vecchio semaforo, in una zona non particolarmente inaccessibile e sicuramente frequentata da cacciatori e turisti, fu invece trovato il teschio di una giovane donna, poi risultato appartenere alla ignota vittima del 1977.
Il “munaciello” – dissero allora i superstiziosi abitanti del luogo – aveva trovato una nuova “testa” e perciò aveva “buttato” la vecchia.

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