La Stella della Morte


Non dobbiamo stupirci se certi balenieri andavano ancor oltre nelle loro superstizioni e affermavano che Moby Dick non soltanto possedeva l’ubiquità ma era immortale (poiché l’immortalità è soltanto l’ubiquità nel tempo)”
Hermann Melville, Moby Dick




Le osservazioni del telescopio spaziale Hubble inducono a ipotizzare un radicale accorciamento dei tempi di generazione delle supernova.
Se la cosa fosse confermata saremmo seduti su una bomba con la miccia (molto corta) accesa: Eta Carinae, la stella nella foto sopra.
A soli 8.000 anni luce dal sistema solare si trova infatti l’ipergigante blu che è una delle stelle con maggior massa dell’intera galassia; estremamente instabile, ha già tentato di trasformarsi in supernova 150 anni fa, nel 1843, e da un momento all’altro (prima delle ultime osservazioni di Hubble questo “momento” era dell’ordine di centinaia di migliaia di anni, ora potrebbe essere in qualsiasi momento, facciamo il 2012 visto che ci siamo…) potrebbe esplodere in una ipernova illuminando come un secondo sole le nostre notti.
E sommergendo di radiazioni gamma, letali, la biosfera terrestre.
E’ forse per questo che la foto che la ritrae circondata di una ammasso di gas e polvere a me sembra somigliare al peloso corpo di una tarantola in attesa di lanciare il suo velenoso attacco.

Nel gennaio del 1841 Herman Melville è a bordo della baleniera Acushnet che fa vela verso i Mari del Sud e nel settembre del 1842 la abbandona rifugiandosi nelle Isole Marchesi, poi a Tahiti e a Honolulu. Tornerà in patria solo nell’ottobre del 1844.
In quel periodo la stella più brillante del cielo australe e la seconda stella più brillante, dopo Sirio, con una magnitudine di -0,8 è proprio Eta Carinae, la Stella della Morte, che stava tentando di diventare una supernova.
Ma in tutta la sua opera letteraria, nella quale le stelle e le costellazioni sono spesso citate a riprova di un suo grande interesse per l’astronomia, questa strana stella non trova posto; in Mardi ricorda anche la improvvisa comparsa della supernova di Tycho Brahe in Cassiopea, la stella di Amleto e la Al Aaraaf di Poe, ma di questa esagerata luccicanza di Eta Carinae, nessuna menzione.
Forse, sebbene luminosissima, era una stella inutile alla navigazione; o forse – presentendone qualche maligno influsso – una superstizione da marinaio gliela ha fatta volutamente ignorare.
Nel giro di pochi anni, la stella è scomparsa: e con essa pure la sua costellazione, chiamata la”La Nave di Argo” fin dai tempi di Tolomeo, ormai smembrata dagli astronomi in Vela, Poppa e, appunto, Carena.


Eta Carinae come si vedeva nel 1660


Ma alcune iscrizioni cuneiformi assiro-babilonesi hanno forse trasformato il mistero marginale di Melville nella prova che, come affermava lo scrittore, “l’immortalità è soltanto l’ubiquità nel tempo“.
L’esplosione di una supernova lontana 8.000 anni luce ci mette – ovviamente – ottomila anni prima di avere qualche effetto sulla Terra.
Al massimo arriveranno un po’ di neutrini qualche minuto prima, se davvero vanno più veloci della luce o la Gelmini ha fatto anche un altro tunnell, in discesa, da Eta Carinae fino al Gran Sasso.
Fatto sta che nel sesto millennio prima di Cristo, in singolare coincidenza con l’esplosione dell’ipernova di Eta Carinae che forse distruggerà la terra nel 2012, un antico popolo costruiva la grande ziggurath di Eridu.
E una sorta di entanglement (o un viaggiatore nel tempo)potrebbe aver portato sulla terra la notizia della futura immane esplosione: infatti, secondo lo studioso semitista Peter Christian Albrecht Jensen (la cui bibliografia spazia da “Über einige sumero-akkadische und babylonisch-assyrische Götternamen” del 1886 fino a “Ziffern und Zahlen in den hittit. Hieroglyphen-Inschriften” del 1933), le tavolette cuneiformi indicano chiaramente che il grande tempio di Eridu era orientato e consacrato proprio ad Ea, la Stella della Morte, compagna di Canopo nella costellazione della Carena, allora evidentemente ben visibile, per un altro tentativo di esplosione come quello del 1843.
Eridu, la cui ziggurath è indicata da molti studiosi come la Torre di Babele, si trova – sempre per restare in tema di maledizioni divine ed umane – in Iraq, presso Nassiriya.
Una maledizione che viene da lontano, che è presente al tempo stesso oggi e ottomila anni fa; dunque immortale perché possiede l’ubiquità nel tempo; e di fronte a una maledizione immortale, temo non ci siano riti apotropaici sufficienti a scongiurarla: né vale consolarsi pensando allo spettacolo vertiginoso della gigantesca esplosione che riempirà il cielo qualche istante prima dell’arrivo dei raggi gamma: col culo che abbiamo, il cielo sarà di certo nuvoloso…

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