Makeru ga, katta


Uno degli aspetti più affascinanti della cultura dei giapponesi, per me, è la loro ammirazione per i perdenti.
Nella cultura occidentale, gli eroi sono sempre vincenti (oltre che giovani e belli) e quando subiscono sconfitte, rimangono eroi malgrado la sconfitta; i Giapponesi invece spesso costruiscono l’epopea di un eroe proprio grazie alla sua sconfitta.
La storia di Minamoto no Yoshitsune ne è un tipico esempio: le sue brillanti vittorie militari non contribuirono alla sua fama di eroe nazionale quanto i lunghi mesi vissuti come fuggiasco, inseguito dal crudele fratello, e culminati nel rituale seppuku.

“Resta in silenzio e accetta la sconfitta
che ti assegnano voci volgari…
In un luogo di pietra
Taci ed esulta,
Ché di tutte le cose
Questa è la più difficile”
(William Butler Yeats)

o per dirla con Franco Califano, “Se riesci a sorridere alla sconfitta, è una vittoria sulla sconfitta”



Samurai dallo sguardo enigmatico mi fissano dall’antico vaso che una altrettanto antica prozia portò da un viaggio in Oriente.
Quando le cose non vanno per il verso giusto, mi faccio giapponese anch’io: accetto la sconfitta ed esulto, ché di tutte le cose questa è la più difficile.

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