L’innamorata del Sole

“Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio”

(La Guerra di Piero, Fabrizio De André)

Svolazza fuori da un vecchio e polveroso tomo questo piccolo e strano opuscolo di Luigi Muzzi: “L’Innamorata del Sole”:

La stranezza, a parte il romantico titolo che evoca bionde trecce, occhi azzurri e calzette rosse, sta nel contenuto: numerate, dall’1 al 24, contiene solo “iscrizioni” in stile lapide cimiteriale, dedicate alla triste storia di Ninetta Delille, l’Innamorata del Sole.

Una breve introduzione racconta la triste storia di Ninetta che vi riassumo brevemente.
Ninetta Delille, bellissima figlia di una aristocratica famiglia di Parigi, era ricoverata nell’Ospizio di Montmarte sotto le cure del celebre dottor Blanche dalla primavera del 1823, per una innocua forma di follia che la vedeva innamorata del Sole, unico oggetto delle sue attenzioni e non faceva altro che fissarlo estatica da mattina a sera.
Il 17 luglio del 1833 si consumò la tragedia di Ninetta: quando il sole si oscurò a causa di un eclissi totale di sole, “inquieta dove esso fosse andato e incerta se sarebbe tornato, lo chiamava… ah… infelice! con infuocati sospiri di gelosia e pietosa disperazione. Mancava un istante a vederlo ricomparire, ricomparve… ma Ninetta era morta.”

Un vero concentrato di retorica classica e romanticismo sepolcrale: passando sopra a quel “quore” che spero sia stato un errore di stampa, ho approfondito un po’, gugglando; e pare che l’autore, Luigi Muzzi, fosse il più stimato letterato italiano nel campo delle “iscrizioni” (che evidentemente era un genere letterario assai in voga); se la giocava addirittura con Pietro Giordani, il grande amico di Leopardi, anch’esso gran produttore di quel tipo di “iscrizioni”.
E’ comunque un genere letterario morto ormai da tempo; l’ultimo epigono – ma di gran successo – fu Edgar Lee Masters con la sua Antologia di Spoon River, portata poi in musica con altrettanto successo da Fabrizio De André, che ho citato in apertura per via della Ninetta che compare in una sua famosa canzone; la Ninetta Delille, però, non è evidentemente crepata di maggio, visto che l’eclissi del 1833 è astronomicamente avvenuta in luglio: ma poco male, la citazione non ci azzeccava lo stesso perché chi crepava in maggio era Piero, non Ninetta.

Questioni di quore

Giovinezza ventenne
Soleggiante chioma
pupilla sorriso
involatore de’ quori

Non è, come credevo, un errore di stampa: come avrà notato il lettore attento, il Muzzi scrive cuore con la “q” almeno un paio di volte.
Un ignorante illetterato? A leggere le note biografiche della sua avventurosa vita nella Treccani non si direbbe, visto che insegnò Lettere all’Università, fu accademico d’Italia e socio corrispondente della Crusca, litigava con Vincenzo Monti ed era apprezzato dal Foscolo (“Nel 1808 fu nominato pubblico ripetitore di eloquenza italiana e latina all’Università occupando il posto che era stato di Pietro Giordani; in seguito per un breve periodo fu professore di belle lettere. Nel 1809 entrò a far parte dell’Accademia italiana. Nel 1824 divenne socio corrispondente dell’Accademia della Crusca”).
In realtà – sempre gugglando – ho scoperto che era un rigoroso “purista” e applicava le regole ortografiche alla lettera, senza eccezioni; e la questione di quore ne è il caso più singolare.
Il Muzzi sosteneva infatti che la regola ortografica impone che si usi sempre il “q” davanti a un qualsiasi dittongo (“questo, qui, quando, quota”) e si usi sempre la “c” se segue solo una singola vocale; quindi come sarebbe sbagliato scrivere “cuesto” invece di “questo” così è sbagliato scrivere “cuore” invece di “quore”; e ovviamente anche “scuola” andrebbe scritto “squola” alla faccia delle maestre delle elementari che se scrivevi squola ti mandavano di corsa in castigo dietro la lavagna.

Devo però ammettere, sia pure a malinquore, che questo innoquo vezzo ortografico mi perquote malamente l’orecchio spezzandomi il quore: insomma, fa un po’ evaquare…

Le innamorate del Sole

“Nec se movit humo; tantum spectabat euntis
Ora Dei: vultusque suos flectebat ad illum”
(Metam. IV, 264-265)

(“E non si mosse più da quel punto; guardava soltanto
il Sole, volgendo il suo volto per seguirlo nel cielo
“)

Fosse nata nell’era mitologica del mondo Greco-latino, la triste fine di Ninetta Delille sarebbe forse stata cantata da un poeta un po’ migliore del pur volonteroso Muzzi.
Io scommetterei su Ovidio, che le avrebbe sicuramente dedicato una delle sue metamorfosi, come ha fatto con Clizia e Leucotoe, le due innamorate del Sole.
La storia è ancor più tragica di quella di Ninetta: Clizia era una ninfa innamorata di Apollo, il dio del Sole: quando si accorse che il dio invece se la faceva con Leucòtoe, figlia di Orcamo re degli Achemenidi, pazza di gelosia rivelò al padre di Leucotoe la tresca di sua figlia col dio.
Allora i padri non andavano tanto per il sottile e Orcamo, nomen omen, fece seppellire viva sua figlia, per punirla. Apollo, persa l’amata Leucòtoe, ovviamente non volle più saperne di Clizia (potremmo quasi dire che si eclissò…) e Clizia cominciò a deperire, rifiutando di nutrirsi, bevendo solo le sue lacrime seduta a terra a fissare l’amato dio che conduceva il carro del Sole in cielo senza rivolgerle neppure uno sguardo, finché, consumata dall’amore, si trasformò in una eliotropia, cioè un girasole.

Ma la povera Ninetta Delille non ebbe nemmeno un resoconto psichiatrico della sua follia: il medico francese Esprit-Sylvestre Blanche (1796-1857), che la ebbe in cura, nei suoi “Fragments psycologiques sur la folie” del 1834 non la cita affatto; ma si tratta di un testo dedicato al contrasto dei metodi di rigore corporale e delle coercizioni fisiche e psicologiche che stavano ritornando in auge dopo la parentesi rivoluzionaria.

Tutto quello che ci resta di Ninetta sono le 24 iscrizioni di Muzzi e il poema “L’Eliofila” di Antonio Mezzanotte (cognome quanto mai inadatto al soggetto!): costui, amico del Muzzi, riprende le 24 iscrizioni e le commenta con sue poesie altrettanto sepolcrali ma, ahimé, non certo all’altezza di Ovidio; e nemmeno si avvicinano alle due “Canzoni sepolcrali” scritte in quegli anni da Giacomo Leopardi ([url=https://it.wikisource.org/wiki/Canti_(Leopardi_-Donati)/XXX._Sopra_un_basso_rilievo_antico_sepolcrale]Sopra un basso rilievo antico sepolcrale[/url] e [url=https://it.wikisource.org/wiki/Canti(Leopardi_-_Donati)/XXXI._Sopra_il_ritratto_di_una_bella_donna] Sopra il ritratto di una bella donna [/url]), non certo la miglior produzione del poeta di Recanati.
L’unica cosa che possiamo salvare è la bella litografia che compare nell’antiporta del libretto di Mezzanotte:

Sulle tracce del dottor Blanche

Nel 1821, il dottor Esprit-Sylvestre Blanche fondò una casa di cura, un tipo di ospedale per alienati completamente nuovo, fondato sul modello di una pensione, ospitandoli cioè a casa sua. A Montmartre e poi a Passy, ​​i pazienti condivisero la vita quotidiana del medico, di sua moglie e dei suoi figli, cenando alla loro tavola e passeggiando nel loro grande parco di cinque ettari.
La casa del dottor Blanche, gestita prima da Esprit-Sylvestre e poi da suo figlio Emile, divenne una delle istituzioni più famose d’Europa, rifugio della generazione romantica, ospitando pazienti assai famosi: ma dopo la morte di Emile si perse completamente la memoria di questa famiglia di “Basaglia” ante litteram.

La cattiva notizia per gli investigatori dell’Innamorata del Sole, è che solo nel 1838 usci una legge in Francia che imponeva la tenuta e la conservazione di un registro contenente lo stato civile dei pazienti, le date del loro soggiorno, la descrizione dei loro disturbi e la diagnosi commentata dal medico; e la produzione a stampa di Esprit-Sylvestre Blanche è estremamente ridotta e del tutto incompleta riguardo ai casi clinici.

La buona notizia invece è che il 4 gennaio 1977, Georges Mévil-Blanche, ultimo erede della famiglia Blanche, lasciò in eredità le carte personali della sua famiglia alla biblioteca dell‘Institut de France per costituire un fondo aperto alla consultazione dei ricercatori: migliaia di lettere scambiate tra medici e loro parenti, amici o pazienti. Questa inestimabile corrispondenza, anch’essa del tutto inedita, permette di seguire quasi di giorno in giorno la vita di una casa di cura che ha accolto, a vario titolo, i più grandi personaggi del suo tempo:

  • Alfred de Vigny, Hector Berlioz, Eugène Delacroix, Alexandre Dumas padre, Théophile Gautier, Édouard Manet, Auguste Renoir, Edgar Degas, come amici e visitatori;
  • Charles Gounod, Marie d’Agoult (che dalla sua relazione con Liszt ebbe tre figli tra cui Cosima, futura moglie di Wagner), Marie de Flavigny, la contessa di Castiglione (celebre amante di Napoleone III), la famiglia del compositore Halévy, Théo Van Gogh, il fratello di Vincent, tra i ricoverati per qualche tempo;
  • Gérard de Nerval e Guy de Maupassant tra i pazienti incurabili;
  • Jules Verne e Ernest Renan, come padri preoccupati per la sanità mentale dei loro figli e l’avvocato Jules Grévy per quella di sua sorella;

Non potendomi al momento recare all’Institut de France per avere in visione i carteggi della famiglia Blanche (:D), non mi è restato che sfruttare il lavoro di una ricercatrice, Laure Murat, che si è dedicata a quel lavoro, dando alle stampe un libro dall’eloquente titolo “La Casa del Dottor Blanche: storia di un ospizio e dei suoi pazienti, da Nerval a Maupassant”.

Sfortunatamente, il documentatissimo tomo di Laure Murat non fa alcun cenno di Ninette Delille.
Anche una accurata ricerca sui giornali francesi del 1833 (tutti digitalizzati integralmente su Gallica, [url]https://gallica.bnf.fr/services/engine/search/advancedSearch/[/url]) non porta alcun risultato utile: lo stesso dottor Esprit-Sylvestre Blanche compare solo in un paio di articoli, senza alcuna attinenza con Ninette e l’eclissi di luglio è citata solo per l’aspetto astronomico.
Arrivati dunque ad un punto morto dell’indagine, non mi è restato che applicare il sistema usato dal detective Hieronymus (Harry) Bosch, quando una pista promettente non sfocia in nulla: ricominciare ad esaminare tutta la documentazione dall’inizio ed esplorare tutte le ipotesi alternative.

Nel nostro caso, l’inizio è la prima pubblicazione della “Iscrizione” del Muzzi: avvenne nel 1839, su una strenna pubblicata da Vallardi col titolo “Non ti scordar di me”.

La strenna è stata fortunatamente digitalizzata integralmente da San Google, il che ci permette di disporre della prima immagine dell’innamorata del Sole

e soprattutto della presentazione originale del Muzzi alle sue funebri iscrizioni per Ninetta:

Oltre che quel “piaqque” su cui sorvoliamo, ormai conoscendo il nostro Muzzi, ai fini della nostra indagine risulta assai importante quell’incipit “Sono incirca sett’anni, che morì a Parigi […]”.
O il Muzzi maltrattava l’aritmetica come maltrattava l’ortografia (1839 – 1833 = incirca 7?) oppure siamo alla fine del 1839 e gli anni vengono arrotondati da sei e mezzo a circa sette.
Cosa confermata dal fatto che si tratta di una “strenna pel Capo d’anno” e, uscita nel 1839, non può che riferirsi al capodanno 1840.

Ma licenza poetica o aritmetica che sia, quello che resta comunque stabilito è che
questa è davvero la prima comparsa di Ninetta su stampa: in ristampe successive, si trova sempre citata questa strenna come la prima comparsa di Ninetta. Muzzi ha composto le sue iscrizioni quasi sette anni dopo l’eclissi del 1833. Perché?

Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità.
(Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro)

Non è poi tanto improbabile, per quanto clamorosa, la conclusione a cui sono arrivato: Ninetta Delille non è mai esistita. E’ una fake news ante-litteram creata dal Muzzi per dare un tocco di realismo alle sue macabre iscrizioni.
Il nome, Nina, come compare nella didascalia dell’illustrazione sulla strenna di Vallardi, lo ha scelto probabilmente ispirato dall’opera di Paisiello “Nina, o sia la Pazza per Amore” o dall’omonimo balletto francese “Nina ou la folle par amour”, ancora rappresentato con successo durante la prima parte dell’800. Nina e follia, accoppiata vincente.

Quanto al cognome, Delille, può averlo ben preso dal poeta francese Jacques Delille – il maggior poeta del ‘700 francese insieme a Voltaire – la cui gloria non s’era certo spenta dopo la morte avvenuta nel 1813, specie fra i letterati del primo ‘800 come Muzzi.
Solo così si spiega infatti la totale assenza del nome di Ninette Delille nei giornali francesi e nel libro di Laure Murat: si tratta di un tocco di esotismo esterofilo del Muzzi, un pizzico di sale per insaporire la sua creazione.

Ma prima che lo sgomento per la repentina scomparsa di Ninette provochi un moto di delusione nei cuori delle fanciulle romantiche che leggono queste righe, ecco la buona notizia: Ninette Delille non è mai stata celebrata dai giornali francesi ma l’innamorata del sole, invece, sì.
Per presentarla come si merita, devo introdurre il vero protagonista delle pagine dei giornali francesi del XIX secolo: il feuilleton.
Il feuilleton, come è noto, era la parte di un giornale che ospitava, accanto a rubriche diverse, romanzi a puntate, detti anche romanzi d’appendice.

Eccone un esempio tratto dal Journal du Cher del 12 marzo 1835: la parte sotto la riga nera, che la stacca dalle notizie politiche, è appunto intitolata “Feuilleton” e contiene un racconto letterario.

L’occhio acuto e interessato alle vicende dell’Innamorata del Sole avrà sicuramente notato l’accattivante titolo del “feuilleton”: “L’épouse du Soleil -Une histoire veridique” ovvero “La Sposa del Sole – Una storia vera”.
E per evitare che la curiosità uccida il gatto e ci si cavino gli occhi per decifrare i minuscoli caratteri sotto al titolo, vado a favorire un decente ingrandimento:

Come un vero “cold case” della sezione “Casi Irrisolti”, è una coincidenza, quasi trent’anni dopo il misfatto, a consentirci di identificare il DNA del colpevole e la sua identità.

Il Giornale degli Eruditi e dei Curiosi funzionava così: i “curiosi” facevano domande di qualsiasi genere e gli “eruditi” (o che si ritenevano tali) provavano a dare la risposta.
Nel numero di novembre del 1884, un “curioso” anonimo veneziano – già sento in sottofondo i melanconici archi dell’Adagio di Benedetto Marcello – fa la fatidica domanda delle cento pistole: “sarebbe mai avvenuto che taluno, preso da esaltazione mentale, siasi innamorato del sole?

Riceve più di una risposta, tra cui quella che lo rimanda alle “Iscrizioni” di Luigi Muzzi e a Ninetta Delille.
Ma tra le risposte compare anche quella di un “erudito” che aveva incrociato altrove l’innamorata del sole:

il traduttore franco-russo Eugène Wenceslas Foulques ricordava bene la cosa, avendo appena curato la versione italiana di una novella francese di Jules Janin che narrava una storia simile. Eccone l’incipit in cui si riconoscerà facilmente il “feuilleton” del 1835, l’épouse du soleil, che chiude il mio precedente post.

L’indagine converge dunque su Jules Gabriel Janin (Saint-Étienne, 16 febbraio 1804 – Parigi, 19 giugno 1874), scrittore e drammaturgo francese, esponente di spicco del Romanticismo francese: ma ci riporta assai indietro nel tempo, nel 1828, cinque anni prima della presunta morte di Ninette Delille e dell’eclissi del 17 luglio 1833. Ma soprattutto ci trasferisce dal regno della realtà a quello della fantasia letteraria…

Jules Janin, dunque, immagina la storia dell’innamorata del sole nel 1828; esce come novella su “Le Figaro” (in cui lavorava come giornalista in quegli anni) col titolo “L’Eclipse”; viene successivamente ristampata sul feuilleton del “Journal du Cher” nel 1835, con un titolo più click-baiting “La sposa del sole – Una storia vera”. La stessa novella, intitolata “La Folle”, uscirà nel 1838 in una raccolta di racconti di Jules Janin, “Les Catacombes”, lugubre titolo che certamente non può non aver attirato l’attenzione di un incisore di lapidi funerarie come Muzzi.
Muzzi lo legge, si innamora della storia della pazza del sole e immagina le iscrizioni funebri per la povera protagonista.
Ma non si scrivono lapidi funebri per personaggi immaginari, serve una data, serve un nome e dalla novella di Janin ricava solo un generico “sono passati tre anni da quando…”.
L’eclissi! Muzzi sfoglia le effemeridi di quegli anni e colloca la data di morte della povera pazza a cinque anni prima, nel luglio del 1833.
Non manca che il nome: “Nina la pazza per amore” e il poeta Jacques Delille glielo forniscono; il pittore Antonio Muzzi ne fa un ritratto di fantasia per illustrare l’opera.
Così Muzzi, non appena creata Ninetta Delille, può finalmente seppellirla!

Jules Janin, quando scrisse l’Eclipse, abitava a Montmartre come tanti artisti bohemienne dell’epoca. Non lontano dalla clinica del dottor Blanche, che cita appunto nella sua novella.
Se non certamente Ninetta Delille e l’eclissi del 1833, non si può dunque escludere che ci sia un fatto vero, forse un’altra eclissi e un altro nome e cognome dietro l’ispirazione di Janin; anzi un indizio lo avrei anche trovato… ma prima, leggiamo insieme la novella di Janin:

L’Eclissi (Jules Janin, 1828)

Tre anni fa, a Montmartre, nella Maison del Dottor Blanche, l’instancabile specialista degli alienati mentali, che cura i suoi pazienti colle buone maniere, col benessere e la libertà, invece che, come gli altri, con la segregazione, le docce fredde e la miseria, c’era era una donna la cui follia era singolare e commovente.
Questa donna, ancora giovane e il cui viso era dolce ed il sorriso pieno d’incanto, non aveva altra follia che questa: credeva di essere la promessa sposa del sole; si erano fidanzati lei e lui, cioè il sole, in una bella giornata d’autunno, quando il sole aveva coperto il suo splendente volto con un meraviglioso velo di nubi, per non abbagliare la sua amata.
Da allora, ella era sua come egli era suo; aveva sentito sulla mano l’ardente bacio del suo sposo, ed ora non viveva più che per lui solo.
Il sole era la gioia, la gloria ed il trionfo di quella povera ragazza.
Lei si svegliava nello stesso istante in cui il suo amore gettava i primi raggi nel cielo; teneva gli occhi fissi sullo sposo che si alzava e lo salutava con lo sguardo, come gli uccelli lo salutano coi loro canti, come il fiume lo saluta col suo mormorio, come la rosa lo saluta col suo profumo.
Quanto più bella era la natura allo spuntar del sole, quanto più sereno il cielo, quanto più gioioso l’intero creato, tanto più felice era la povera pazza.
Non era forse il suo divino sposo che gettava dappertutto la luce e il calore? non era egli forse il re del mondo? non aveva essa forse passata una notte intera, una notte d’amore, fra le sue braccia?
Cosi, in un’estasi perpetua e divina, seguiva ogni passo del sole; rincorreva il più piccolo suo raggio; più il sole saliva nel cielo e più aumentava il suo poetico entusiasmo.
A stento si poteva riuscire a farle mangiare qualcosa ogni giorno, tanto era posseduta dalla sua celeste passione; e ancora, per farla mangiare, bisognava dirle che il suo divino sposo aveva dorato quel frutto, imbiondito quel grano, maturata quell’uva.
Tale fu la vita della pazza per dieci anni.
E non le mancavano le sofferenze di una persona normale, giacché quando arrivava l’inverno vedeva il volto del sole suo sposo impallidire e rabbrividire sotto la neve, come quello di un bel giovane ferito a morte; e lei, dopo aver visto l’immensa gloria del sole oscurata da fitte nuvole, come accade ai più grandi uomini di questo mondo, a cui l’invidia oscura la gloria, anche lei, sfortunata donna, diventava la più triste creatura del mondo.
Ma in primavera, la povera pazza del dottor Blanche ritrovava a maggio il suo sposo, come lo aveva lasciato, splendente come sempre, con tutte le foglie degli alberi che spuntano al suo arrivo, come scintille sotto il martello del fabbro, e una dolce gioia tornava nel cuore della misera: lasciava il lutto, vestiva l’abito più splendido, cantava la sua più dolce canzone.
Questa folle felicità durò per dieci anni senza poter essere curata.
Ma così, questa donna era felice! Perché allora curarla dalla sua felicità?

Sono ormai passati tre anni da quando l’innamorata del sole è morta, e la sua morte è stata commovente come la sua vita.
Era una bellissima giornata d’autunno, mezzogiorno, il sole morbido e calmo gettava sulla terra e sulla sua sposa i suoi raggi purissimi.
Mai il cuore di lei era stato più pieno d’amore, mai il suo sguardo era mai stato più tenero, mai il suo sogno si era tanto avvicinato a realizzarsi.

Ma, o cielo! improvvisamente il sole scompare, a poco a poco e si ferma bruscamente nascondendosi, diventando invisibile!
Dov’è?
Sì – lei geme – sì, mio ​​marito è andato dalla sua amante! sì, è infedele! sì, se ne è andato di giorno e non tornerà più.
La povera donna, vedendolo scomparire di colpo, all’improvviso, senza sapere dove stava andando, senza sapere se sarebbe tornato, è morta durante l’eclissi, morta di gelosia, di disperazione e di amore.

Era morta da appena un secondo, che il sole, liberato dalla sua innocente congiunzione con la terra, continuò tranquillamente la sua strada; ma era troppo tardi: il dramma era compiuto.
La povera donna era morta e il triste e calmo raggio di sole che cadde su di lei, come a chiedergli perdono per la sua assenza involontaria, non ha potuto risvegliarla!

Come ogni feuilleton che si rispetti, non manca un ultimo (o penultimo…) colpo di scena.
Come ho lasciato intendere, pur essendo accertato che Ninette Delille è un parto della fantasia di Luigi Muzzi, ispirato dal racconto di Janin, durante l’indagine sull’innamorata del sole sono emersi alcuni indizi che il racconto fantastico di Jules Janin possa essere basato su un fatto vero.
Il primo indizio è ovviamente l’incipit del racconto “L’Eclissi” in cui Janin colloca la storia nella casa del dottor Blanche, da lui frequentata, insieme ad Alexandre Dumas, Theophile Gauthier e Gerard de Nerval (erano stati compagni di scuola al liceo Charlemagne) come amico e ammiratore di Esprit-Sylvestre.
Altro indizio è quell’aggiunta “Una storia vera” al nuovo titolo del racconto (“La sposa del sole”) in occasione della ristampa del 1835 sul “Journal du Cher”.
Come terzo indizio possiamo mettere l’autorevole opinione di Foulques che al riguardo scrive: “Il fatto, se non vado errato, è storico e sarebbe avvenuto a Montmartre nella casa di salute del celebre dottor Blanche“.

Ma la certezza che un fatto vero sia all’origine del racconto viene, tanto per cambiare, da Google.
Cercando su “Google libri” le parole “Janin” “Blanche” e “epouse du soleil”, il primo risultato è un frammento del libro “Jules Janin: conteur et romancier” di Jacques Landrin del 1978 in cui si legge

“Per capire i meccanismi della sua fantasia, ‘La Sposa del Sole‘, ripreso sotto il titolo di ‘La Folle‘ (in ‘Le Catacombe‘, 1839) è un caso privilegiato, poiché abbiamo la fortuna di conoscere il fatto vero che sta alla nascita di questo racconto. Dopo la morte del dottor Blanche,[…]”

e con una suspense degna di Hitchcock, lì ci lascia in sospeso, ma con parecchia acquolina in bocca.

Purtroppo su Google non c’è la digitalizzazione completa di quel testo del 1978, e nemmeno una anteprima di qualche pagina intera, ma solo qualche frammento: ma in attesa di procurarmi il libro e venire finalmente a capo di questa storia, ho provato a vedere se con qualche “variante” delle parole chiave della ricerca sarei riuscito a convincere Google a farmi vedere, in un altro frammento, come prosegue quel paragrafo.
E infatti, con “amoureuse du soleil” come parola chiave, facciamo un passo avanti, ecco il frammento successivo:

Il 4 novembre 1852 , dopo la morte del dottor Blanche, di cui era stato amico, Janin gli rende un magnifico omaggio: tra le tante guarigioni che ha compiuto, ne cita solo una: quella di una giovane donna che si credeva innamorata del sole e che oggi piange per il suo defunto benefattore.

Ora sì che possiamo asciugare le lacrime: abbiamo la certezza del lieto fine perché l’innamorata del sole è evidentemente sopravvissuta anche alle eclissi, uscendo guarita dalla clinica di Esprit Blanche.
Per il nome e cognome, e altri dettagli, non resta che recuperare il libro di Landrin e vedere cosa c’è nella nota (35).

Oppure… cercare quel necrologio scritto da Janin per il dottor Blanche sui giornali di Parigi del 5 novembre 1852?

Il capolavoro del Dottor Esprit Blanche

Una parola ormai desueta, “agnizione”, indica il riconoscere o il riconoscersi di persone in particolari circostanze. Come scrive Wikipedia, “Il caso classico è quello del personaggio che, al termine di una serie più o meno complessa di vicende, viene riconosciuto da altri o si autoriconosce nella sua vera identità; il riconoscimento può riguardare anche i modi e i tempi con cui il lettore scopre la verità, abilmente celata dallo scrittore. Il procedimento è tipico del romanzo giallo o avventuroso“.
Non poteva dunque mancare una clamorosa agnizione anche in questo nostro feuilleton: e ce la fornisce ovviamente Jules Janin, maestro in quel genere, e per di più proprio nel feuilleton del Journal des Debats (da cui ha preso nome il genere) dell’8 novembre 1852.
Mentre sulla parte superiore della prima pagina si racconta di come il Senato di Francia stia per proclamare il Secondo Impero, dopo il colpo di stato di Luigi Napoleone l’anno prima, nella parte bassa, il feuilleton, Jules Janin parla di teatro e musica, ma appena voltata la pagina inserisce un lungo ed accorato encomio funebre dedicato al suo vecchio amico, il dottor Blanche, venuto a mancare tre giorni prima.
Chi volesse leggersi integralmente quel feuilleton del Journal des Debats potrà scaricarselo da qui: [url=https://www.pcosta.net/Journal.pdf][U]Journal des Debats[/U][/url] e vi troverà il necrologio evidenziato con un fondo giallino e il “colpo di scena”, l’agnizione che ci interessa evidenziata con un fondo verde.
Ma vado anche a darne la traduzione con testo a fronte in italiano, sperando di non aver frainteso quello che scrive Janin e che ci porta a dare un nome e cognome ben preciso all’Innamorata del Sole: Marie-Madeleine Sophie Bertrand, proprio lei, l’angelo della Maison du Docteur Blanche, l’infaticabile ausilio del grande filantropo: in altre parole, sua moglie!

In attesa di avere in mano il documentato saggio di Jacques Landrin che mi ha messo su questa pista e che dovrebbe confermarla con ulteriori particolari, resta ancora aperta un’ultima possibilità: che Janin con quel “l’ha sposata” intendesse che dopo averla guarita “le ha procurato un marito” o “le ha fatto da padrino per il suo matrimonio”, nel qual caso, purtroppo torneremmo in alto mare sull’identità della donna; ma quel “ed è lei che oggi lo piange!” mi sembra incontestabilmente riferito alla vedova.

In ogni caso non si poteva certo sperare di meglio: dalla tragedia dell’eclissi incisa nelle lugubri iscrizioni mortuarie di Muzzi siamo passati ad un fiabesco lieto fine che corona la guarigione dell’Innamorata del Sole con un bel matrimonio felice in cui vissero tutti felici e contenti…

E dunque, giuntomi finalmente il ponderoso testo di Jacques Landrin su Jules Janin e sfogliato immediatamente fino alla pagina 294 eccoci arrivati al gran finale della storia di Ninetta.
Anticipo immediatamente che, con ulteriore sorpresa dovuta proprio a quella pagina, l’innamorata del Sole non è Marie-Madeleine Sophie, moglie del Dottor Blanche.
Ma, come si vedrà, quel “l’ha sposata” che Janin, nel necrologio, riferisce evidentemente al dottor Blanche è del tutto giustificato dai fatti: infatti il dottor Blanche fu colui che guarì dalla sua follia la sposa del Sole, ma per farlo dovette sposarla.

Ecco dunque, come raccontata da un testimone dell’epoca, Joachim Duflot, la vera storia dell’innamorata del Sole, per lo meno come l’ho capita io….

Duflot racconta di aver incontrato una giovane ragazza, di nome Lauretta, che era innamorata del sole e pensava di essere la sua sposa. Era stata internata nella casa di cura del dottor Blanche a Montmartre e quella sua follia la spingeva a scrivere continuamente lettere d’amore al Sole: ne riceveva immediata risposta, con l’esortazione a guarire da un amore così insensato; le sollecitazioni del suo amato sposo la spinsero pian piano a diradare quella folle corrispondenza finché alla fine scrisse al Sole di smettere di scriverle. Dopo venti giorni senza più scrivere lettere al Sole, si rese conto di essere finalmente guarita da quella follia: il medico che l’aveva meravigliosamente curata, impersonando il suo sposo solare e rispondendo alle sue lettere, non era altri che il dottor Blanche.

Ce même cas nous est rapporté, avec plus de details, par Joachim Duflot dans un article de Bagatelle, paru deux ans avant le conte de Janin. L’auteur raconte comment il fit la conaissance d’une jeune fille, Laurette, qui était amoureuse du soleil. On l’interna à la maison de santé du docteur Blanche, où elle écrivit letters sur lettres au soleil, qui lui répondit d’abord en l’invitant fermement à se guérir de cet amour insensé; puis ses letters devinrent de plus en plus séches, dans la derniere enfin, il lui enjoignit de cesser toute correspondance. Elle resta vingt jours sans lui écrire: au bout de ce temps elle comprit qu’elle avait été folle: le docteur qui avait opéré cette guérison merveilleuse, n’était autre qui el docteur Blanche.”

Detto questo, non mi resta che chiudere questa storia infinita con una doverosa lapide funebre con iscrizione in rima più o meno alternata…

1 commento su “L’innamorata del Sole”

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