Zahir




“Secondo lo scrittore Jorge Luis Borges, l’idea dello Zahir viene dalla tradizione islamica, e si ritiene sia nata intorno al XVIII secolo. Zahir, in arabo, vuoi dire visibile, presente, incapace di passare inosservato. Qualcosa o qualcuno che, una volta che si è stabilito il contatto, finisce per occupare a poco a poco il nostro pensiero, fino al punto che non riusciamo più a concentrarci su nient’altro. E ciò può essere considerato santità o follia.”
Faubourg Saint-Pères, Enciclopedia del Fantastico, 1953

Paulo Coelho, nel suo romanzo “Lo Zahir”, citando Faubourg Saint-Pères che cita Borges che cita la tradizione islamica, fa sua la definizione di Zahir di Borges (eh eh… al prossimo post qualcuno potrà citare pcosta che cita Coelho che cita Saint-Pères che cita Borges che cita l’Islam, che al mercato mio padre comprò…).
Il romanzo di Coelho infatti descrive una ossessione mentale che inizia con la scomparsa della moglie, Esther.

Ma in arabo Zahir significa ovvio,letterale, visibile, superficiale, esteriore; non ho trovato – se non in Borges – questo romantico significato che contraddistingue un’ossessione che nasce pian piano fino a occupare completamente la mente.
In attesa di smentita da parte di qualche islamista, per il momento assegnerò il merito a Borges, adorabile mentitore, di aver “reinventato” una parola così evocativa e musicale.
“A Guzerat, alla fine del secolo XVIII, fu Zahir una tigre; in Giava fu Zahir un cieco alla moschea di Surakarta, che fu lapidato dai fedeli; in Persia, un astrolabio che Nadir Shah fece gettare in mare; nelle prigioni del Mahdì, intorno al 1892, una piccola bussola avvolta in un brandello di turbante, che Rudolf Carl von Slatin toccò; nella moschea di Cordova, secondo Zotenberg, una vena nel marmo di uno dei milleduecento pilastri; nel ghetto di Tetuan, il fondo di un pozzo.”
Lo Zahir di Borges, dunque, è qualcosa che, una volta che lo si è toccato o visto, non viene mai più dimenticato – e, a poco a poco, occupa ogni nostro pensiero, fino a condurci alla santità o alla follia.

E’ uno stato d’animo che alcuni di noi, credo, dovrebbero conoscere assai bene.
Parafrasando ancora Coelho:
“Il mio Zahir non sono le romantiche metafore con ciechi, bussole, tigri, o la famosa moneta.
Il mio Zahir ha un nome: Internet.

Non trovate anche voi che oggi sia Zahir il modo in cui alcuni di noi, impercettibilmente dapprima, ma poi con ossessiva continuità, riversano parole ed emozioni negli infiniti mari della Rete?

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