Il mistero del bipede implume


Viviamo in un mondo dove il mistero è in agguato, anche nelle più stupide occorrenze della vita.
Orbene, ieri pomeriggio, mentre aggiungevo un ciocco al fuoco del camino, una vampa dispettosa mi ha accarezzato i radi peluzzi che spuntano dalle falangi della mano destra.
Niente di grave, non ho nemmeno sentito caldo: però, immediatamente, ho sentito un fetido puzzo come quello che si sentiva una volta quando le donne di casa passavano il pollo sulla fiamma per bruciarne le ultime piume.
Altri tempi, quando le galline avevano le piume invece di nascere già arrostite in rosticceria e i cotechini dovevano cuocere quattro ore invece che un quarto d’ora nel microonde.
Comunque, visto che non c’erano polli in giro, ho presto scoperto che il pollo ero io: erano i miei peluzzi bruciati che avevano prodotto il fetido odore.
Mentre mi lavavo le mani più e più volte per liberarmene, riflettevo su quanto avesse ragione Diogene il Cinico a prendere in giro l’idea platonica che l’uomo fosse l’unico essere bipede senza piume.
Come è noto, il filosofo di Sinope spennò un pollo e lo mostrò al popolo ateniese dicendo che quello era l’uomo di Platone.
Se avesse fatto la “prova del fuoco”, quella che fortuitamente è capitata a me, avrebbe dimostrato che il pelo del suo pollo bruciato puzzava più o meno quanto quello dell’uomo, a maggior scorno del del grande filosofo ateniese.
Ma sto divagando, vengo al mistero promesso.
Volendo esporre quanto mi era successo sono andato alla ricerca di una immagine di Diogene per “condire” un post invero un po’ leggerino ed ecco qui il Diogene che nel 1525 incise Jacopo Caraglio su disegno del Parmigianino:


Come vedete, non manca la lanterna e nemmeno il pollo spennato che sarebbe servito perfettamente a illustrare la mia piccola disgrazia domestica.
Ma la mia attenzione è stata attirata dall’illustrazione del libro che il bastone impugnato da Diogene sembra indicare imperiosamente:

Sembra presa di peso dal “De Divina Proportione” di Fra Luca Pacioli, le cui illustrazioni si ascrivono a Leonardo da Vinci.
Ora, una leggenda medioevale che confonde Diogene di Sinope (quello del pollo) con il fisico Diogene di Apollonia e con un terzo Diogene, alchimista, faceva sì che nel rinascimento Diogene fosse associato ad Ermete Trismegisto insieme a Pitagora e Platone; e un patito dell’alchimia come il Parmigianino (“stillando cercava l’archimia dell’oro et non si accorgeva lo stolto, ch’aveva l’archimia nel far le figure“, scrive il Vasari) doveva ben esserne a conoscenza.
Quindi quell’illustrazione probabilmente sottende una qualche misteriosa simbologia esoterica
Ma il vero mistero arriva adesso.
Cercando una riproduzione un po’ più ricca di pixel, per cavarne un ingrandimento decente, ecco che mi imbatto in un’altra xilografia tratta dal disegno del Parmigianino, conservata al museo di Cleveland e datata 1524-1527.

Essa reca incisa l’iscrizione “FRANCISCVS / PARMEN· / PER·UGO CARP” che ci rende edotti che in questo caso l’incisore è un altro, Ugo da Carpi.
Ma la cosa più strana è che nel libro indicato da Diogene col suo nodoso bastone è scomparsa la esoterica illustrazione per lasciare spazio a una banale e indistinta figura circondata da una pagina di testo.

Questa misteriosa censura artistica aggiunta alla presenza di ingredienti così appetitosi come Pacioli, Leonardo, il Parmigianino e i suoi simboli alchemici, potrà forse servire di spunto ai cultori degli Illuminati, del priorato di Sion e dell’iniziazione alchemica del Mazzola per qualche ragionamento adeguato alla materia.
Io mi accontento, per ora, di aver evitato per un pelo – è il caso di dirlo – una fastidiosa bruciatura.

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