Canto Orfico





CANTO ORFICO

Vi voglio raccontar quel che da bimbo
seppi nel Texas. Ma non narrerò
che Alamo cadde: chè nessuno
scampò la morte in quella caduta,
giacciono muti quei centocinquanta.

Questa è la storia del freddo assassinio
di quattrocentododici ragazzi.

Erano nove volte il loro numero
i nemici che li stavan circondando.
Ferito il colonnello, e senza munizioni
trattarono la resa con onore;
ricevettero gli scritti coi suggelli
e l’armi consegnarono, marciando
indietro, come prigionier di guerra.
Nessuno aveva più di trenta anni.

Due giorni dopo li portaron fuori
a gruppi, per andare massacrati.
Era mattina e stava cominciando
la bella estate, proprio in quei momenti.
Si cominciò alle cinque, ed alle otto
questa faccenda già era sbrigata.

Nessuno, all’ordine, s’inginocchiò.
Qualcuno tentò un folle e disperato
sforzo; rimase il resto franco e unito.
Pochi sul colpo caddero, colpiti
al cuore od alla tempia: morti e vivi
giacevano nel fango mescolati.

Strisciavano storpiati e mutilati
e i nuovi ch’arrivavan li vedevan.
Cercavan, mezzo morti, strisciar via;
Chi fu finito con la baionetta
ed altri con il calcio dei fucili.

Un giovane, di sol diciassett’anni,
il suo assassino prese con gran forza
e ‘l strinse finchè venner altri due.
E tutti e tre ne usciron lacerati,
coperti con il sangue del ragazzo.
Alle undici iniziarono a bruciarli.

Questa la storia è dell’assassinio
di quattrocentododici ragazzi.


Misteri, bugie, follia, versi scritti e riscritti da un poeta maledetto accompagnano questa storia che inizia in Texas con la caduta di Fort Alamo e finisce in una tetra villa settecentesca adibita a manicomio, sopra Firenze.
Un vecchio libretto della Biblioteca Universale Sonzogno, del 1887, della biblioteca dei nonni, in cui mi sforzavo di trovare le ragioni della grande ammirazione che Borges aveva di Whitman è il punto di unione della storia: per una coincidenza (che non posso fare a meno di apprezzare) è quasi esattamente al centro tra il 1836, l’anno del massacro di Goliad, riassunto dai dolorosi versi di Whitman, in cui inizia questa storia e il 1932, quando termina, con la morte di Dino Campana.
Anche il titolo che ho messo è apocrifo: la poesia di Whitman si intitola “Song of Myself”, ma due versi di quella poesia di Whitman sono ormai annessi alla sfera poetica di Campana e possono ben giustificare il mio piccolo falso.
Misterioso è il perchè della chiusa dei Canti Orfici, il capolavoro di Campana: due versi in inglese “They were all torn and covered with the boy’s blood” (Erano tutti laceri e coperti col sangue del ragazzo). Di questa chiusa, Campana scrive che è “l’unica cosa importante del libro”.
Bugie, patriottiche bugie, le racconta Whitman spacciando per infame massacro l’esecuzione, pare sia stata del tutto legale, dei ribelli texani da parte dell’esercito messicano a Goliad.
La misteriosa sparizione di un manoscritto, la sua riscrittura a memoria, la follia, gli elettroshock e il filo spinato del manicomio di Castel Pulci, che uccide l’unico vero “poeta maledetto” italiano, completano il quadro promesso; né sarà difficile trovarne i dettagli in Google, a chi interessassero e come ho fatto io, passandoci un pomeriggio.

Quanto mi piacciono queste “storie intrecciate”, in cui ci s’imbatte per caso, sfogliando vecchi libri e nuove pagine di Internet.

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