Scultore, ti voglio parlare…

Pittore, ti voglio parlare
mentre dipingi un altare
io sono un povero negro
e d’una cosa ti prego
pur se la Vergine è bianca
fammi un angelo negro

Entro casualmente nella settecentesca chiesa di San Francesco a Querétaro.
Non è tra quelle segnalate dalle guide turistiche ma era per la strada e con la porta aperta.

Come tante chiese messicane, pochi dipinti e molte statue – di gesso o cartapesta – a vivaci colori. Una però, la prima che si vede sulla destra, è tutta nera, a parte il cordone bianco.
Merita un primo piano:

Il saio francescano giustifica il color scuro della veste, ma anche volto e mani – a parte i denti bianchissimi – sono inequivocabilmente e volutamente neri.
Non so se il pittore della nota canzonetta di Fausto Leali e Marino Barreto jr. alla fine ha fatto un angelo negro vicino alla vergine bianca, però qui, fra tanti santi bianchi, uno scultore ha messo un santo negro.
Leggo la didascalia sotto i piedi neri e – carramba che sorpresa! – il santo negro è italiano: San Benito de Palermo, “el santo moro”.

Per vita morte e miracoli di San Benedetto di San Fratello, Patrono di Palermo dal 1652, africanissimo figlio di due schiavi abissini o etiopi di un barone siciliano, rimando alla voce di Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Benedetto_da_San_Fratello; la sua presenza in Messico e in tante chiese dell’America Latina è principalmente dovuta proprio alla sua pelle nera che lo fece diventare il santo protettore di indios e schiavi neri.
Quando nel 1806, a San Pablo Guelatao, nei pressi di Oaxaca – nasce un figlio a Marcelino Juárez e Brígida García, qual nome più indicato di quello del santo moro poteva venir in mente ai genitori, «indígenas de la raza primitiva del país»?

E Benito fu, che poi – rivoluzionario, socialista e anticlericale – fu eletto per ben due volte presidente del Messico.
Nel 1883 il nome del santo moro, partito da Palermo e arrivato in Messico, ritorna in Italia quando il fabbro romagnolo Alessandro Mussolini, socialista, desideroso di rendere omaggio alla memoria di Benito Juárez, pensò bene di imporre a suo figlio il nome di Benito.
Il Duce probabilmente ignorava di dover il suo nome anche alla “faccetta nera” del santo moro di Palermo: al massimo gli ispirò nell’inconscio il colore per le camicie.
La triste fine del Duce, la cui caduta iniziò il 25 luglio del 1943, è nota, ma non meno triste è la fine del santo moro a cui fu fatale il 25 luglio di ottant’anni dopo: il suo corpo, “conservatosi incorrotto per oltre quattro secoli, era custodito nella chiesa della borgata di Santa Maria di Gesù, a Palermo. È andato quasi totalmente distrutto nell’incendio che il 25 luglio 2023 ha interessato la chiesa.”

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