200 personaggi in cerca d



All’inizio ero un uomo di fumo; alla fine, fui uno scompiglio licenzioso di parti anatomiche, l’ultimo sberleffo d’un ottuagenario giocoliere.
Mi avevano trovato una mattina davanti al Palazzo Municipale, avvolto in una coperta di lana rosa e con un biglietto dov’era inciso a lettere dorate il mio nome: Stefanino.
A detta degli scienziati che mi esaminarono, sia Dio che la natura, nel giorno in cui ero stato concepito, avevano perso il senso dell’orientamento. La mia faccia smorfieggiava nel posto sbagliato, laddove gli altri uomini hanno ciò che son dette parti basse; specularmente, ciò che deve trovarsi in basso troneggiava invece sopra il corpo, con tutti gli attributi. Ne risultava modificata anche la posizione dell’ombelico e, a immaginarla, se ne aveva tutto uno sbalestramento, quasi il sospetto di un’insolente carnevalata.
Perché di me la massa non udrà negli anni che la voce di prodigioso tenore e d’angelico baritono, o il suono d’una tromba o d’un violino, o una spadacciata serale provenire dal castel di Ripafratta, dove tanta irregolarità era stata reclusa. Della mia esistenza nessun’altra prova.
Ma, se anche il velo che ancora mi copre dovesse celare solo un’illusione ottica, tutto questo guazzabuglio avrà una volta di più illuminato l’indecenza del potere e le abnormità della pubblica opinione. Tanto di me si racconterà sempre di come una volta tirai fuori una linguaccia di dieci centimetri in segno di saluto.



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