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Anche quando pascolavo pecore mi chiamavano il cittadino. Perché mia madre era morta nel consegnarmi alla luce di Firenze e l’Arno mi aveva portato via il padre, anarchico e renajolo. La città mi riconobbe quando vi tornai, con un ciuffo nero fuori dal berretto, l’ombra dei baffi che mi sarebbero cresciuti, le scarpe di vacchetta, il gilè… Non avevo quindici anni e non sapevo ancora di carcere, né di cantiere, né di donne. Ci pensarono una vedova, un vecchio operaio e una ragazza di San Frediano a insegnarmi tutto ciò che serviva.
Il secolo, intanto, finiva tra case stonacate, quartieri di manovali e sigaraje che vociavano. Sulle mie spalle ormai larghe pesavano le settimane di sciopero e la sera il futuro mi tremava nelle mani da muratore insieme alla speranza che mio figlio crescesse libero come voleva il nome che gli avevo dato.



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