200 personaggi in cerca d



Sono morto nitrendo come un cavallo in Serbia, a Skoplije, con indosso una giacca con il collo di volpe e vicino un’altra moglie. Così come avevo sempre vissuto: con l’anima piena di carne e la carne piena d’anima. Ma da allora la mia ossuta figura di ambulante è stata vista bere rum e vodka in Romania, uscire da una miniera nell’isola di Creta, pizzicare le corde del mio santuri corroso dal tempo a Salonicco e ballare lungo le coste dell’Anatolia le vecchie danze del popolo macedone…
Perché io sono come Sindbad il marinaio, il protagonista dell’unico libro che abbia letto: ho viaggiato in lungo e in largo, e non ho smesso ancora. Se non ci credete contate le tante rughe di legno tarlato che mi segnano il viso e osservate le mie mani callose, che hanno gesti attenti solo per il santuri e per le donne. Dalla sinistra mi manca metà dell’indice: l’ho reciso perché mi dava fastidio al tempo in cui fabbricavo vasi, per rispetto della mia natura libera e senza costrizioni. Ho tre soprannomi: pala da fornaio, passatempo e muffa. Il primo per la magrezza e il piattume della testa; il secondo perché tra i miei tanti lavori ho anche venduto semi di zucca arrostiti per le strade; il terzo per la cattiva stella: dovunque arrivo, succede sempre qualcosa. Sono nato ai piedi del monte Olimpo, come un eroe omerico. Da giovane, a ogni nuova conquista tagliavo una ciocca di capelli e la conservavo in un cuscino; da vecchio sento di avere dentro un diavolo con ancora trentadue denti e la bocca vorace.
Ora sto per accendermi una sigaretta con una pietra focaia davanti l’Egeo. Anche nella cecità della morte, le mie pupille di falcone continuano a interrogarsi sul seme umano del sangue e sull’eterno motivo: le donne, necessità e problema senza fine. Per insegnare a tutti gli scribacchini della terra, con la furia volatile dei miei salti, che prodigiosa sgualdrina sia la vita.



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