200 personaggi in cerca d



Su un pianoforte, io c’ero nato. Su un pianoforte e sull’oceano. Mi aveva trovato un marinaio, nella sala da ballo del Virginian, dentro una scatola di cartone che usavano per trasportare limoni. Per nome il marinaio mi aveva dato un numero, perché quello era il primo anno di un nuovo secolo, ma senza registrarmi all’anagrafe. Nessun certificato di nascita, per me, né di morte.
Ufficialmente Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento non è mai esistito. E questo per gli uomini della terraferma un poco è vero. Perché io non ho mai messo un piede fuori dal mio piroscafo.
Eppure di tutte le città del mondo sapevo l’odore, l’esatto odore che ha una certa strada quando ha appena smesso di piovere. Io leggevo la gente, gli rubavo l’anima, e mi disegnavo la mappa di ogni luogo che quella gente aveva visto. Io mentre suonavo, viaggiavo.
Se ne raccontavano di storie su di me. Si diceva che nelle burrasche toglievo i fermi al pianoforte e danzavo sull’oceano, su quell’enorme sapone nero. Raccontavano anche di quella volta che era venuto su uno che diceva di avere inventato il jazz, per sfidarmi. Uno che aveva due mani che erano farfalle. Due mani che non gli valsero a niente.
Non potevi farci niente contro di me. Ero il più grande di tutti. In prima classe suonavo le note normali, ma in terza, in terza suonavo solo le mie.
Ci provai pure a scendere, un giorno, con un cappotto di cammello e un cappello blu, ma mi fermai al terzo gradino della scaletta. Mi fermai perché l’oceano dal Virginian lo potevo misurare. La terra, invece, non aveva una fine: era una nave troppo grande per i miei piedi.
Me ne andai insieme al mio piroscafo, seduto su una cassa di dinamite, dopo avere detto addio a tutti i figli e a tutte le donne che non avevo avuto. E agli amici della band. Dissi addio pure alla rabbia e alla gioia, e la mia musica, quella, la suonai tutta in una nota sola: l’ultima.



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