200 personaggi in cerca d



Del mio volto, si ricorda soltanto che aveva una consistenza cerea: occhiali con la montatura d’acciaio, capelli unti e forse un paio di baffi. Vivevo nella città di Praga, per la sua maschera tragica, e perché vi potevo sentire ancora i fiocchi di neve cadere.
La malattia della porcellana la contrassi da bambino, davanti alla vetrina di un negozio di Ceske Kúžove. In punta di piedi, mi incantò la perfezione di un Arlecchino, col suo costume a losanghe multicolori e nelle mani il cappello e un boccale d’argento ossidato. L’avevano modellato a Meissen, la Manifattura Reale di Sassonia. Da allora passai la vita a collezionare altri arlecchini e dame di corte, musici, animali, mangiatori di spaghetti… Tutti con il marchio di fabbrica delle spade incrociate.
Li riponevo su scaffali di cristallo con degli specchi dietro, nella mia casa di via Široká. Vi cercavo l’antidoto alla decadenza, come gli alchimisti. La storia del Novecento, con le sue Dresda, le sue Gestapo, le sue burocrazie totalitarie, per me non fu che un rumore di fondo. Salvare la collezione rimase il mio solo interesse. Anche a costo di restarne prigioniero. E ci riuscii così bene che alla mia morte, nel 1974, non se ne trovò neppure un pezzo. C’è chi disse che mi aveva disgustato a tal punto da affidarla ai camion della spazzatura, come vecchio vasellame; chi ipotizzò l’esportazione illegale; chi suggerì un dono a una diva della lirica mia amante o alla cameriera che avevo finito per sposare; chi giurò che a mio nome esisteva un deposito in un caveau della Union des Banques Suisses a Ginevra.
Avrei fatto qualsiasi cosa, di sicuro, pur di non vederla rinchiusa nelle stanze di un museo. Curioso, il mio cognome ha la stessa radice di ubriaco o baro o venditore di ronzini, e nel dialetto della Bassa Svevia viene usato per indicare Tizio o Caio. Come a dire che anche un uomo insignificante come me, con un vestito di lana dai polsi logorati, può giocare il trucco perfetto di un illusionista.



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