200 personaggi in cerca d



Con le parole, mi sono fatto una vita. A ventisei anni ho venduto il mio primo romanzo e ora sono uno scrittore a tempo pieno. Ma raccontare storie non mi diverte più come una volta. Quando le parole non rimpicciolivano ancora tutto. E la ferrovia gs&wm non era una linea smessa, ma la via dei treni merci. E la zona di Castle Rock non si era suburbanizzata. E gli amici non entravano e uscivano dalla mia vita come camerieri in una sala di ristorante.
Allora la cosa più importante, a dodici anni, fu partire con tre compagni per recuperare il corpo di un nostro coetaneo, uscito in cerca di mirtilli e investito da un treno. Volevamo andare a vedere che faccia aveva la morte. E la morte aveva una faccia tesa e seria, una faccia da adulto anche se apparteneva a un ragazzo come me, strappato via dalle sue scarpe e ora disteso nella terra accanto ai binari, con due chicchi di grandine al posto degli occhi. La morte era la distanza tra quei piedi nudi e immobili e le scarpe. Era quel cielo di rame. Era la stessa cosa che aveva ucciso mio fratello in una jeep militare, e avvolto la sua bara in una bandiera, e annientato l’attenzione dei miei genitori per sempre. La stessa cosa che si sarebbe portata via anche Chris e tutti gli altri coinvolti in quell’avventura, un anno dopo l’altro. Tutti meno me, Gordie, il ragazzo invisibile. Gordie che quella notte fu inseguito da un cane in una discarica. E si fece un bagno in un lago pieno di sanguisughe.
E scoprì il picco agghiacciante della paura. E sognò di affogare, tra bidoni di cherosene vuoti. E imparò che la Ruota della Fortuna gira, ma il banco vince sempre e perdono tutti. Gordie il temerario, che rischiò la vita per non farsi rubare il corpo di quel ragazzo morto. Che lo contese come un trofeo a un branco di altri stupidi teppistelli. Per conservarne la consapevolezza in una curva del tempo.
Le cose più importanti, le più difficili da dire.



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