Genealogia della famiglia Costa


I Costa di Miola furono in origine coltivatori diretti ed artigiani, che col frutto del loro lavoro si procacciarono attraverso i secoli una notevole agiatezza, acquistando terreni, commerciando prodotti agricoli e bestiame; possedevano una fornace di laterizi, un frantoio per le olive. Nel Seicento fabbricavano armi e perticari, cioè aratri (alla morte di Bernardo Costa i figli e le figlie si ripartirono fra di loro una ventina di aratri nuovi).

L'antico toponimo Milliola, contratto poi in Miola, significava "terra coltivata a miglio", cosi come Granarolo indicava terra coltivata a grano.

Il cognome ha subito qualche variazione attraverso i secoli. Nel Quattrocento i notai scrivevano de la Costa (esempio: Vicus quondam Ghidini olim Laurentii de la Costa). Nel Seicento sono detti anche De Costis (esempio:        Ippolitus quondam Bernardi De Costis) e qualche volta perfino Costaei (esempio: Johannes Costaeus de Miliola). 

Dal Settecento in poi il cognome si stabilizza nell' attuale Costa che nell'uso locale veniva spesso sostituito dall'indicazione "di Miola" ("Paolo di  Miola", "Orlando di Miola", …).


Albero genealogico dei Costa di Miola con a lato un particolare ingrandito.

(Una versione ad alta definizione è disponibile in https://pcosta.net/geneal/gen.html


Il più antico documento disponibile è una pergamena esistente nella biblioteca di Imola, datata 6 ottobre 1213, in cui il comune d'Imola, per rafforzarsi ed aumentare la popolazione, concede a 63 famiglie di Galisterna altrettante aree fabbricabili nel fossato della città con l'impegno di costruirvi case nello spazio di sei mesi e con l'obbligo di abitarvi ogni anno per sei mesi. Fra i 63 rappresentanti di quelle famiglie, figurano un Leonardo di Miola e un Giacomo dell’Isola. Il primo è il più antico antenato dei Costa conosciuto, il secondo quello della famiglia Isola che abita ancor oggi al Mulino Nuovo di Galisterna. Tutti gli altri appartengono a famiglie estinte o che non è più possibile identificare. 


A Leonardo di Miola successero:


Lorenzo, vissuto fra il 1210 e il 1300


Guido

già morto alla data del 18 gennaio 1391


Lorenzo,

nato nella prima metà del 1300, già morto alla data del 10 gennaio 1425


Ghidino,

nato verso la metà del Trecento e già morto alla data del 15 maggio 1440.


Vigo, figlio di Ghidino, nato verso la fine del Trecento e già morto al 4 marzo 1459, ebbe cinque figli; Don Romagnolo, Giacomo, Antonio, Merlo e Lorenzo.


Lorenzo nato nel primo decennio del Quattrocento; il 3 giugno 1441 sposa Contessa di Cesare Giovannetti, poi in seconde nozze Ursolina di Matteo di Cassano. Fa testamento in data 24 maggio 1473 presso il notaio Baldo Callegari di Riolo.


24 maggio 1473, ultime righe del testamento di Lorenzo del fu Vigo Costa del Ramo di Miola


Lorenzo risulta già morto alla data del 21 novembre 1501. Ebbe nove figli: Ghidino, Taddeo, Marcone, Contessa, Rialta, Don Floriano, Tommaso, Nastasia ed Orlando.


Orlando,

governatore di Galisterna Superiore, cioè della parrocchia della Costa, muore nel settembre del 1534. 


Nunziato

figlio di Orlando, pure lui governatore di Galisterna Superiore, morto nell'agosto del 1564, mette al mondo 4 figli: Giovan Francesco, Pantasilea (sposata nel 1555 a Ottaviano Guadagni), Gentile (sposata nel 1557 ad Antonio Rusconi) e Battista.

 

Battista,

che riveste il grado di capitano, il 23 settembre 1569 sposa Donicilla figlia del conte Bernardino Naldi di Vezzano. Muore nel 1590. 


Bernardo

figlio di Battista, sposa Caterina figlia del conte Annibale Vespignani. Muore nel 1609.



Ippolito



alfiere del Comune di Riolo, nato nel 1599, sposato a certa Cherubina non meglio identificata, morto il 17 novembre 1684. Lascia 5 figli: Paolo, Don Bernardo, Alfonso, Carlo Giuseppe (assassinato nel 1746) ed un altro Bernardo.


Gualtiero Mariani, in una sua memoria storica pubblicata nel 1911, scriveva: "La famiglia Costa, di più rami, di cui però il ceppo principale abitava, come abita tuttora, la villa di Miola, occupava cariche distinte. Di questo casato era Don Fabrizio, prevosto. Il vessillifero Ippolito aveva già costruito a quel tempo la torre attigua alla villa di Miola, Bernardo Costa suo figlio, nato il 6 aprile 1631, era capitano delle milizie riolesi. Il dottor Orazio Costa, sposo ad Eleonora di Marco Antonio Costa, era segretario della comunità, carica allora di una certa importanza. Fra i molti figli, ebbe questi il 24 agosto 1679 Margherita Felice, cui fu padrino di battesimo il nobile patrizio conte Antonio Maria Faelli di Imola".





Bernardo



capitano delle milizie di Riolo, nasce il 6 aprile 1631, sposa la nobildonna Elisabetta Tellarini di Massa Lombarda, e muore il 3 aprile 1686. I suoi figli sono: Giovan Battista, Ippolito Giuseppe, Alfonso, Don Carlo Antonio, e Giovanni.


Giovanni



nato il 5 aprile 1670 e sposato a Giustina Valli con la quale mette al mondo Giacomo, Domenico Merlo, Pietro Paolo, Pietro Francesco, Ippolito, Giacomo Antonio, Maria Antonia, Elisabetta, Cesare Francesco e Tomaso Orlando



Tomaso Orlando



nato il 22 ottobre 1724, sposa Antonia Sabattani: i suoi figli sono Carlo Antonio, Domenico Giuseppe, Maria Giustina e Giovan Battista.

Muore l'11 gennaio 1805.


Firma di Tommaso Orlando e dei suoi fratelli in calce alla "Perizia Per la Divisione delli Signori Fratelli di Miola [e]seguita li 30 Luglio 1754"


Atto notarile che sancisce la quota ereditaria legittima ceduta a Giuseppe dal padre Orlando a seguito della volontà del figlio di lasciare la casa paterna di Miola, nel 1797


Giovan Battista

nasce il 31 gennaio 1763. Sposa Caterina Dalmonte di Ca' de' Marconi. 

Di Giambattista Costa si sa solo che era un mite e onesto gentiluomo di campagna. Ha tramandato alcune memorie manoscritte di questo tenore:

  • Addì. 6 luglio 1806. Io, Giambattista Costa, ho ricevuto da Giuseppe Dal Monte di Ca' de' Marconi scudi cento come dote di Cattarina sua figlia".
  • Addì 1° agosto 1806. Io, Giambattista Costa, contrassi il matrimonio civile con la suddetta Cattarina, e il 19 agosto quello ecclesiastico.
  • Addì 4 giugno 1807. Alle ore tredici di giovedì Cattarina partorì una fanciulla a cui fu imposto il nome di Giustina.
  • Addì 7 ottobre 1807.  La suddetta Giustina fu portata in Riolo "per l'iniezione de' varoli" 


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Lettera d'amore di Giovan Battista Costa a una non identificata donzella (forse la Caterina Dalmonte che poi sposerà?) la quale pare assai ritrosa nei suoi confronti.


Giovan Battista ebbe nove figli: Don Andrea, Domenico, Antonia, Giustina, Giovanni Grisostomo, Agnese, altra Antonia, Tommaso, morto giovane in un incidente di caccia e Paolo Costa. Muore il 12 aprile 1844.

In questo periodo, cioè nel periodo napoleonico, visse a Riolo un cugino di Giambattista, Bernardo Costa, che merita di essere ricordato, se non altro perché tristamente famoso.

"Nel 1798, quando giunsero nelle nostre contrade i francesi a commettere ogni sorta di prepotenze, levossi in Oriolo - cosi scrive lo storico Antonio Metelli - un Bernardo Costa, e per l'odio che portava a' francesi ed a' loro partigiani, messa la mano nel sangue, diedesi a vagare per le circostanti campagne, agitando e sollevando le popolazioni. Pronto di mano, d'impavido cuore, di estremi pensieri, con a fianco gente disperatissima, metté a spavento in quelle montane comunità. Casola ed Oriolo ne tremavano".


Il Vesi invece, nella sua storia di Fontana, ricorda con queste parole una vittoria ottenuta nel 1799 contro una compagnia di francesi.

"Ebbe allor principio un feroce combattimento, e dall'una e dall'altra parte pugnavasi con molto accanimento e furore. Era sovra gli altri osservabile Bernardo Costa di Riolo, il quale, attergato ad un arbore, tenendo un lungo coltello in bocca, traea spessissimi colpi con la sua grossa carabina. Gli alti schiamazzi e le strida mescolavansi terribilmente col rimbombo degli archibugi e con l'eco delle soprastanti montagne"


Paolo Costa

fu per 11 anni priore, cioè sindaco, del Comune di Riolo. 

Paolo Costa (1813-1892)

Nasce il 6 giugno 1813. Sposa Laura Emiliani di Castel Bolognese, e alla di lei prematura morte si fa sacerdote e dice Messa. Ha 11 figli: Padre Ermelando, gesuita, Don Albino, Giulia, Caterina, Eugenia, Monsignor Giambattista, Orlando, Zeffirina, Marianna, Ermenegildo Raffaele (morto appena nato nel 1867) e Ermenegildo Valentino nato il 14 febbraio 1868. 

Paolo Costa muore l'otto novembre 1892.

In un atto del notaio Francesco Antonio Sangiorgi, che è nell'archivio di Stato di Faenza, volume XXII, si ha la notizia del suo fidanzamento, a trentasei anni di età. Vi si legge:

"Oggi, 3 dicembre 1849, comparsi avanti di me, notano, infrascritto, il signor Paolo Costa del fu Giambattista, priore del Comune di Piolo, domiciliato in località Miola, parrocchia della Costa, e l'onesta fanciulla Laura Emiliani, del fu Giovanni, domiciliata in Campiano di Castel Bolognese, si promettono e si ripromettono in isposi e futuri sposi, e si obbligano a vicenda di contrarre fra di loro, quanto prima, il matrimonio. La sposa reca in dote scudi romani mille, di cui cinquecento vengono consegnati come anticipo al futuro sposo". 

Il matrimonio venne celebrato ai primi di gennaio del 1850, e verrà rallegrato dalla nascita di ben undici figli.


Paolo Costa in un ritratto presumibilmente all'epoca del suo matrimonio

Paolo Costa era uomo religiosissimo e attaccatissimo al governo pontificio. Fu         priore del comune di Riolo, cioè sindaco, per molti anni, dal 1845 al 1856. Nel 1849 il governo di occupazione austriaco ordinò alla popolazione la consegna di tutte le armi da fuoco e da taglio, pena la fucilazione. Solo a lui, per autorizzazione delle superiori autorità, fu concesso di poter portare la spada d'onore.

Nel 1848 si può dire che salvò il paese dall'invasione della banda del Passatore,        che aveva già assalito e depredato Brisighella. Fu lui infatti che fece venire a Riolo 30 soldati austriaci, armati perfino con un cannone, e li tenne li, a spese del comune, per tutta l'estate.

Nel 1855, l'anno del colera, morirono a Riolo 63 persone. Il 5 agosto, il governatore di Castel Bolognese comunicava alla Legazione di Ravenna che purtroppo anche il priore Paolo Costa era stato colpito dal colera, e versava in imminente pericolo di morte. Ma per sua fortuna si trattò solo di una semplice colica, o diarrea, causata probabilmente dalla paura del contagio.

Nel 1859, dopo la caduta del governo pontificio, abbandonò per sempre l'attività politica, e si ritirò a vita privata.

Nel 1872 gli morì la moglie Laura Emiliani, ed allora chiese ed ottenne di farsi prete. Costruì una chiesetta, dedicata a Sant'Andrea, a fianco della Villa di Miola, e vi diceva Messa tutte le mattine.

La figlia Giulia raccontò più volte che nella chiesina esisteva un inginocchiatoio di legno con le impronte delle ginocchia di suo padre Don Paolo, lasciate durante le ore di preghiera.

Morì l'otto settembre 1892 all'età di settantanove anni, e in odore di santità.


Richiesta di licenza di caccia e relativo porto d'armi con i connotati di Paolo Costa, 1845


Don Andrea Costa

Don Andrea Costa, figlio primogenito di Giambattista Costa


Don Andrea Costa, fratello maggiore di Paolo, era un tipo originale, sempre in vena di combinare scherzi al prossimo, specie ai suoi colleghi, e spesso anche scherzi feroci, giustificando in pieno il modo di dire – ancor oggi ben conosciuto – "fare scherzi da prete".

Una volta un suo asinello si ruppe una gamba e fu costretto ad ucciderlo. Invitò allora a pranzo tutti i preti del circondario, oltre una trentina, e a loro insaputa lo fece loro mangiare. Solo quando essi, alla fine del pasto, si sbracciavano a lodare il buon sapore del brodo e la tenerezza delle braciole, svelò il segreto fra il generale disgusto.

Un'altra volta, sempre in occasione di un invito a pranzo, sempre di reverendi colleghi, versò nel bricco del caffè qualche goccia di crotontiglio. È un purgante così potente e rapido che, per purgare un cavallo, ne basta una mezza goccia. Si usa infatti solamente in veterinaria. Inutile dire che dopo pochi minuti tutti dovettero correre all'aperto e i più se la fecero addosso. 

Morì a settantun anni in seguito ad una scorpacciata fatta per la festa di Sant'Andrea nella chiesa di Ossano, località in frazione di Cuffiano, vicino a Riolo.

Dell'altro fratello Tommaso si sa solo che era tenente della guardia civica, e che; mori nel 1844, a trentacinque anni, per una disgrazia. Mentre sparava a un uccello, gli scoppiò il fucile in mano.

La Villa di Miola

I figli di Paolo Costa costituiscono l'ultima generazione dei Costa di Miola, prima della dispersione lontano dalla antica magione, la Villa di Miola, che fu la sede dei Costa fino al 1930,  in parrocchia della Costa, località da cui deriva il cognome della famiglia.

Le terre dei Costa di Miola

Ecco come viene descritta dal giornale "Il Diario" del 7 dicembre 1902:

«Circa 4 chilometri sopra Riolo, a destra della via provinciale che conduce a Casola Valsenio, in ameno altipiano coronato di ulivi, di pini e di ben 100 qualità di rose che fioriscono in ogni stagione, sorge l'antica Villa di Miola, proprietà ed abitazione della distinta famiglia Costa, famiglia che all'agiatezza del censo unisce la soda pietà degli avi suoi. Un lungo viale, fiancheggiato da due filari di alti e grossi cipressi simmetricamente disposti, mena dritto alla soglia di casa e dà a quel luogo bell'immagine degli antichi castelli medievali. Quivi ogni anno il 30 novembre nella chiesina gentilizia, che sorge come per incanto di fianco all'abitazione, si celebra da quei signori la festa del titolare Sant'Andrea apostolo.». 

Ed ecco un altro brano tratto dal volume "Le chiese della Diocesi d'Imola" di Padre Serafino Gaddoni, pagina 184. «La villa più incantevole di tutta la vallata di Galisterna è senza dubbio quella di Miola, posta a Nord e sui confini della parrocchia della Costa. Anticamente si disse Milliola (1373, 1423 ecc.), di poi Miola (1498,1502,1544 ecc.) ed è da secoli posseduta dai Costa. Don Andrea e il fratello Paolo di detto distinto casato, eressero nel 1846 davanti al piazzale della villa un elegante e spazioso oratorio dedicato a Sant'Andrea apostolo. Di buona mano è il quadretto del titolare, come l'altro nel corpo della chiesa con l'immagine di San Paolo apostolo. Nel mezzo del l'oratorio sta il sepolcreto di famiglia».


La villa disponeva di una torre massiccia, costruita nel Seicento da Ippolito Costa per difendersi dagli attacchi delle famiglie rivali, e di una ghiacciaia (la più antica della valle del Senio)che consisteva in un pozzo scavato nella cantina e profondo una ventina di metri. Durante l'inverno veniva riempito di neve che si manteneva ghiacciata per tutta l'estate e serviva alla conservazione della carne e delle bevande: un'antenata dei moderni frigoriferi. Le stanze erano piene di mobili antichi, impiallicciati o dipinti, di quadri, fra cui una pregevole tela del pittore Ferraù Fenzoni, di una spinetta intagliata e dorata del Settecento, di armi antiche e di tante altre cose. 

Le abitudini e le tradizioni della villa di Miola  erano assai rigide e severe,fino all'ultima generazione: i figli dovevano dare del Lei al padre e agli zii (signor padre, signor zio) e guai a dimenticarsi. Eugenia, sorpresa al ritorno dalla Messa domenicale a conversare con un giovanotto, venne punita con tre mesi di pane e acqua. Ermenegildo, già diciottenne, essendosi presentato a cena con dieci minuti di ritardo, dovette rimanere sull'attenti davanti al piatto finché tutti non si furono alzati da tavola.

Miola fu venduta attorno al 1930 da Padre Ermelando Costa, cui era toccata in seguito alla divisione del patrimonio avito, a Sua Eccellenza Dino Alfieri Ambasciatore d'Italia in Spagna, che la rivendette poco dopo ai signori Folli di Massa Lombarda. Costoro, dopo aver abbattuto il parco per far quattrini col legname, la vendettero a loro volta agli Alvisi di Faenza, la possedevano ancora negli anni '80 del XX secolo e l'hanno trasformata in casa colonica. 

La chiesina di Sant'Andrea era usata da magazzino per le granaglie.


La villa di Miola alla fine dell'800 quando era ancora visibile la torre seicentesca

Scorci della Villa di Miola opera di Francesco Bagnaresi, marito di Agnese Costa nata a Miola nel 1892. 


La villa di Miola nel marzo 2008


La Chiesetta nel settembre 2022, alle sue spalle l'ultimo superstite del viale dei Cipressi 

Gli ultimi Costa di Miola


Padre Ermelando Costa


 


Padre Ermelando Costa si staccò, ancor giovanissimo, dalla famiglia, per seguire la carriera religiosa, disponendo che tutti i beni che gli spettavano per eredità venissero impiegati nella educazione dei suoi nipoti, viventi o nascituri.

Da un giornale dell'epoca: "Un esimio latinista della diocesi d'Imola. Il padre Ermelando Costa, della Compagnia di Gesù, è stato chiamato dal sommo pontefice a primo titolare della cattedra di alta latinità recentemente da lui istituita nella Pontificia Università Gregoriana di Roma. Il padre Ermelando Costa di Miola, di Riolo, entrò giovanissimo nella Compagnia di Gesù. Per le note leggi di sbandamento degli ordini religiosi, dové andare all'estero, dove con lode compì i suoi studi. Ritornato in Italia, fece parte per qualche tempo della Curia Generale del suo Ordine, poi gli venne affidata la formazione letteraria dei giovani studenti gesuiti nella casa di noviziato di Castel Gandolfo vicino a Roma.

In quest'ufficio si rivelò appassionato latinista e grecista. Formava i suoi alunni specialmente su Cicerone, Virgilio, Demostene e Omero. Ottenne risultati magnifici, cioè che quasi tutti i suoi giovani confratelli parlassero e scrivessero correntemente e anche elegantemente in latino; e che anzi, alcuni tra loro, sotto la sua guida sagace, giungessero perfino, pur in poco tempo, a comporre discorsi, poemetti e carmi latini che venivano recitati nelle domestiche accademie o esposti nei consueti ludi letterari con lode non esigua del modesto ed umile professore.

Fu anche Rettore e prefetto degli studi nel nobile collegio dei principi di Mondragone, presso Frascati, e del pontificio collegio di Anagni.

Fu ministro dell'istituto massimo dell'Università Gregoriana, e di nuovo professore tra i convittori di Mondragone e tra i giovani studenti gesuiti da Castel Gandolfo passati a Villavecchia sotto Mondragone, donde il sommo pontefice chiama ora l'esimio latinista nella pontificia Università Gregoriana di Roma".

Come primo titolare della cattedra di alta latinità dellaPontificia Università Gregoriana di Roma, Ermelando Costa si occupò di redigere e correggere le versioni latine delle encicliche papali, che vennero emanate ai suoi tempi.

Nella rivista gesuita di Roma vengono descritti i suoi ultimi momenti:

"Quando qui in Anagni da tutti si soffriva il freddo, lo si vedeva senza soprana indosso girare per il cortile. Se si entrava nella sua stanza, era facile trovarlo anche in pieno inverno con la finestra completamente spalancata. Cosi andò innanzi molti anni senza aver un indizio di malore.

Ma al principio di giugno di quest'anno, 1929, una mattina, mentre si recitavano le litanie dei Santi, si vide uscire di cappella. Esatto com'era a intervenire a tutti gli atti comuni, fece subito pensare che si sentisse male. E cosi era infatti, e più di quello che si poté credere, perché, per virtù, era molto tollerante di ogni specie di fastidi e sofferenze. Il medico che lo visitò disse essere necessario trasportarlo alla clinica dell'ospedale di Anagni, perché probabilmente occorreva un'operazione. Si riscontrò che per infiammazione della prostata non si operavano più le necessarie eliminazioni renali. Per alcuni giorni, queste si provocarono artificialmente, sperando, con una operazione chirurgica, di avviarne la regolarità. Ma disgraziatamente non fu possibile neppure tentarla. La malattia aveva fatto troppo progresso, e per l'età la natura non avrebbe aiutato la cura. Così l'ottimo padre andò declinando ogni giorno finché fece perdere ogni speranza di salvarlo. Tutti i giorni riceveva la santa comunione dalla prossima cappella e finalmente, ricevuta in pieni sentimenti l'estrema unzione, in grande calma di spirito mantenuta inalterata durante tutta la malattia, rese la bell'anima al Signore.

Fu religioso di molte virtù; chi scrive queste memorie, che per molti anni convisse con lui in varie case della provincia, lo stimò sempre per la soda virtù. Il sangue romagnolo, se qualche volta faceva capolino, sbolliva subito e il buon padre rientrava tosto nella sua ca1ma consueta.

Le destinazioni che ebbe, benché sempre nella ristretta cerchia dei         colli laziali, pure furono svariate, come abbiamo visto, e lo trasportavano a sbalzi da un'occupazione ad un'altra di tutt'altro genere. Pure lo si vedeva sempre uguale a sé stesso, prendere tutto dalle mani di Dio;         e certo per lui dovevano riuscire di gran pena, sia perché rifuggiva assai dalle superiorità, sia perché l'attitudine del suo genio lo portava alla letteratura. Specialmente il latino era la materia in cui si trovava bene. Credo che avesse letto tutti gli autori latini, e Cicerone specialmente, moltissime volte. Certo è che citava facilmente la loro autorità quando occorreva il caso. Fu sempre edificantissimo nell'osservanza regolare, alieno assai dalle mormorazioni, esatto e diligente nell'adempimento del ministero assegnatogli dall'obbedienza.

La mattina del giorno seguente salirono fino all'ospedale i superiori, i padri e tutti gli alunni e dalla cattedrale sfilarono poi tutti verso il camposanto recitando il rosario ed altre preci avanti il carro mortuario. Collocata la cassa nella chiesa del cimitero e recitata l'ultima assoluzione rituale, fu deposto nella sepoltura ove riposano già parecchi altri padri defunti in questo collegio."

E questo è il necrologio pubblicato dal Diario di Imola.

"Il 25 giugno scorso è morto santamente a 69 anni ad Anagni, nel collegio Leoniano, tra il dolore e le preghiere dei confratelli, il padre Ermelando Costa, della compagnia di Gesù, religioso che ha onorato altamente la nostra diocesi ed il nostro e suo paese. Nacque nella villa di Miola, di Riolo, il 10 febbraio 1860, e fece         i primi studi ginnasiali nel seminario di Imola. Nel 1878 uscì dal seminario nostro per entrare nella Compagnia di Gesù.

Vagò per studi, e un po' per le persecuzioni contro i religiosi, dalla Francia all'isola di Malta; poi venne a Napoli, insegnò nel collegio dei principi in Frascati; passò dal noviziato della Compagnia di Gesù in Castel Gandolfo ove agli studenti gesuiti insegnò la letteratura con tale passione e competenza che riuscì a farli parlare e scrivere correntemente ed elegantemente in latino.

Fu anche rettore e prefetto degli studi del nobile collegio di Mondragone. Era profondo in latino, in greco, nella storia e nelle lingue estere. Il sommo pontefice lo chiamò nell'ottobre 1924 a primo titolare della cattedra di alta latinità istituita nella pontificia Università Gregoriana di Roma.

Ultimamente, nel collegio di Anagni, dov'è morto, era amministratore ed insegnante di lettere latine e liturgia.

Vivissime condog1ianze ai fratelli Don Albino, Ermenegildo, ai nipoti e a tutta la distinta famiglia Costa."


Padre Albino Costa

Don Albino aveva preso le vesti sacerdotali a ventisette anni; prima si era dedicato al lavoro dei campi, ed era prete di grande semplicità e modestia.

Ecco il suo veritiero epitaffio funebre: "Nella Villa di Miola, il 5 febbraio 1858, Albino Costa nacque quinto di undici quinto di undici figli, quattro dei quali votati al servizio della Chiesa. In seno alla famiglia, di nobili e cristiane tradizioni, ebbe la sua prima educazione. Nel seminario di Imola compì gli studi ecclesiastici, onde venne ordinato sacerdote il 30 maggio 1885, dopo aver degnamente servito tre anni la Patria.

Oltre mezzo secolo, si dedicò interamente al divino ministero e al bene. Per la sua vita semplice e austera, per l'umiltà e la disciplina, per la generosità e rettitudine d'animo, fu dal popo1o venerato, da i superiori proposto ad esempio.

Nell'ultimo rigido inverno, benché ottantaduenne, sfidava ogni mattina le insidie del freddo e della neve per recarsi a celebrare la santa Messa. Colpito da malattia, volle persistere nell'adempimento del dovere; sdegnò i prudenti consigli; non ebbe riguardo per la sua salute. Aggravatosi e costretto al letto, dopo poche settimane di sofferenza, tollerate con animo forte e sereno, la morte lo trovò in preghiere il giorno 7 agosto 1940, soldato di Cristo rimasto sulla breccia fino all'ultimo, caduto su1 campo della vera gloria".

Era di una generosità eccezionale: impiegava tutte le entrate di un suo grosso podere per regalare arredi sacri, campane, eccetera, alle chiese dei dintorni. Contribuì anche alle spese di costruzione del campanile di Galisterna.

Quando la mattina si recava a dir Messa, lungo la strada c'era sempre una sfilata di poveri che aspettavano la sua carità, la quale era sempre di uno scudo d'argento a testa.


Giulia Costa


Giulia Costa, 1862-1948, sposata a Giuseppe Poli di Casola Valsenio, mori a ottantatré anni






Caterina


Caterina, 1856-1883, mori a ventisette anni in convento: si era fatta suora.


Maria Eugenia 


Maria Eugenia, 1862-1933, sposò il poeta Cesare Bagnaresi di Riolo, autore di un volume di prose e poesie molto quotate.


Mons. Giambattista Costa



"Riolo, 21 marzo 1909. Di famiglia agiata e religiosa nacque, su quel di Riolo, Giambattista Costa, il 29 dicembre 1850. Educato alla pietà, e giovane d'ingegno, compì a Roma gli studi incominciati in Imola, nel Seminario diocesano.

Sacerdote, si laureò in teologia e in diritto canonico. In patria insegnò Legge e Sacra Scrittura. Della sacra teologia fu dottore collegiale in Firenze, vicario generale di monsignor Luigi Pistacchi, Vescovo di Comacchio, e di Monsignor Giovan Battista Ricci, Vescovo di Macerata.

Fu per l'integrità dei costumi, la prudenza, la saggezza, canonico onorario dell'uno e dell'altro Capitolo; canonico teologo del nostro Duomo; apparve abile amministratore, rivendicò alla Cattedrale e alla Congregazione di Carità il legato del Cardinal Baluffi, onde abbellì del pavimento a mosaico l'ampio e mirabile San Cassiano.

Fu caro a Leone XIII e Pio X; quegli lo nominò Protonotario Apostolico ad instar, e Prelato domestico; questi, segretario dell'economia per la santa congregazione De Propaganda Fide; visitatore apostolico per le diocesi di Napoli, Ischia e Pozzuoli; consultore per la codificazione del diritto Canonico; Protonotario apostolico di numero.

L'anno 1907 fu decorato dell'ordine sovrano militare di Malta.

La morte lo rapì a cinquantotto anni.

La famiglia, i parenti e gli amici raccomandano a Dio l'anima benedetta, agli uomini la cara memoria in questo giorno di solenni, rinnovate esequie".

Esistono poi nel Duomo di San Cassiano, in Imola, ed in altre chiese della Diocesi, lapidi marmoree in suo onore, che ricordano opere da lui compiute. Non te le trascrivo perché sono in latino e anche di difficile comprensione.

Fra gli altri meriti, ebbe anche quello di lanciare il giovane maestro Lorenzo Perosi, di cui per primo intuì il genio straordinario di compositore. Lo fece venire a dirigere la cappella musicale della Cattedrale di Imola nel 1893, prima che prendesse il volo verso la fama con l'incarico alla Cappella Marciana di San Marco a Venezia, l'anno successivo. 

"La mia carriera incominciò ad Imola" disse Perosi, che iniziò in quella città a pubblicare i suoi primi lavori.

Monsignor Giovan Battista Costa a braccetto con il musicista, oggi universalmente riconosciuto come uno dei maggiori d'Italia, ed il primo fra gli autori di musica sacra.


A Roma, Monsignor Costa fu segretario ed eminenza grigia di due Papi. Pio X, oggi santo, lo tenne presso di sé come uomo di fiducia. Quando scoppiò uno scandalo che riguardava il Cardinal Prisco di Napoli, fu mandato dal Papa ad indagare in veste di visitatore apostolico, cioè di ispettore. 

Era di carattere molto ambizioso, tant'è vero che a Imola i suoi colleghi lo avevano soprannominato Monsignor Pavone. Solo la morte prematura gli impedì di accedere ufficialmente alla carica di Cardinale che aveva già "in pectore" da parte di Pio X. 

Pio X espresse pubblicamente il suo dispiacere e volle impartirgli personalmente l'assoluzione in articulo mortis.

L'appartenenza all'Ordine Sovrano di Malta prevedeva per i suoi pochi titolari gli onori riservati ai cardinali, e li creava, in linea araldica, cugini del Re.


Orlando Costa


 


Orlando è il solo della famiglia Costa ad avere avuto un vero e proprio talento musicale. Studiò musica e fu allievo del maestro Ruggero Leoncavallo. Era un ottimo suonatore di cornetta e di altri strumenti a fiato.

Legato com'era alla famiglia numerosa, e agli interessi di casa, non poté mai realizzare il suo sogno che era quello di diventare un grande musicista. Sfogò la sua passione istituendo a Borgo Rivola una banda composta da una trentina di strumenti, della quale fu maestro e direttore per molti anni.

La banda, assai rinomata, dava servizio localmente, e nei paesi vicini, in occasioni di feste religiose, civili e patriottiche.

Marianna Bargilli, moglie di Orlando

Zeffirina

Zeffirina, 1870-1884, morì a quattordici anni in collegio. 



Marianna


Marianna morì all'età di cinque mesi nel 1852


Ermenegildo Raffaele Costa


morto a dieci giorni dalla nascita nel 1867

Ermenegildo Valentino Costa 



Rimase orfano della madre Laura quando aveva appena due anni, ed ebbe perciò un'infanzia assai trascurata. Il "signor padre" voleva ricavarne un sacerdote, poiché la famiglia era da secoli piuttosto ligia alla legge del maggiorascato. Fu pertanto internato nel seminario di Imola dove, anziché studiare greco e latino si dedicava di sotterfugio, rivelando una straordinaria attitudine per la meccanica, alla costruzione di certi suoi marchingegni che gli venivano regolarmente sequestrati e distrutti.

Per liberarsi da quella specie di schiavitù, si fece scoprire con un libro eretico sotto il cuscino per cui fu restituito alla villa di Miola come inadatto a fare il prete.

Lì, appena dodicenne, costruì di sana pianta una macchina a vapore in miniatura che faceva funzionare una trebbiatrice, sempre in miniatura, e molti altri aggeggi che erano oggetto di ammirazione di tutto il vicinato. Aveva anche passione per la musica. Col fratello Albino che suonava la fisarmonica costituì un'orchestrina per balli campagnoli, la quale, benché composta di due soli elementi e con un modestissimo repertorio di polche, va1zer e mazurche, era assai richiesta.

Militare di leva, partecipò volontario alle guerre d'Africa come geniere e g1i fu affidato i1 pi1otaggio de1la locomotiva che faceva servizio sulla linea Massaua-Saati. Grazie a quel1a locomotiva spinta a tutto vapore in occasione dell'eccidio di Dogali riuscì a sfuggire, insieme a molti altri commilitoni, all'inseguimento di feroci bande di abissini. 


Manifesto commemorativo dell'ecccidio di Dogali, conservato fra le carte di Gildo Costa


Rientrò in patria verso il 1890 insieme con una scimmia dalla quale non aveva saputo distaccarsi. 

In famiglia, egli si trovò assai a disagio, specie in seguito alla morte del padre Don Paolo(che, rimasto vedovo, si era fatto prete e diceva Messa) avvenuta nel novembre del 1892. 

Causa di quel disagio furono le strafottenze dei fratelli maggiori Orlando e Don Giambattista. Dopo aver sopportato un ennesimo sopruso, egli abbandonò la Villa di Miola e si accampò per una quindicina di giorni nella tana trogloditica del Re Tiberio, in attesa di trovare un alloggio più confortevo1e. Prese in affitto una casupola a Borgo Rivola e vi impiantò una piccola fabbrica di biciclette, che erano la grande novità del momento. Lì ebbe modo di stringere con lo scrittore Alfredo Oriani un'amicizia che si mantenne viva ed affettuosa fino alla morte di lui, avvenuta nel 1909. Nell'epistolario dell'Oriani, pubblicato da Piero Zama, c'è anche una lettera di questo tenore:

"Caro Gildo, un letterato, Silvio Piccozzi, sta scrivendo un libro sopra di me e si è raccomandato ad Evaristo Zaccarini per avere fotografie mie e del Cardello. Zaccarini ti prega a mio mezzo di fare tu quella del Cardello, con la tua eccellente Kodak. Vuoi venire su da me a tentare? Vieni a pranzo ad ogni modo.

Grazie. Tuo Alfredo Oriani. Casola Valsenio, li 7 gennaio 1908."

All'amico Oriani egli dunque fornì non solo la bicicletta descritta         in una sua opera famosa, ma anche le più belle fotografie. 


Alfredo Oriani davanti all' officina di Gildo Costa in Borgo Rivola.

Nel frattempo, sul finire dell'Ottocento, si era proceduto alla divisione del patrimonio avito ed a lui erano toccati due buoni poderi e un poderetto. Non avendo più problemi economici, si era trasferito        a Riolo con l'officina e con l'abitazione. Nel 1898 aveva acquistato una automobile Peugeot, usata, dai principi Torlonia. Fu la prima a percorrere la valle del Senio. Quando passò da Palazzuolo le autorità locali         gli offrirono cena ed alloggio per due giorni affinché si fermasse e desse modo alla popolazione di ammirare quel nuovo, prodigioso meccanismo. Il 13 maggio 1903 gli fu rilasciata la licenza di circolazione con auto numero 3, cioè la terza rilasciata in tutta l'Emilia Romagna.


Carta di circolazione N° 3 dellaProvincia di Ravenna


Nel 1902 impianta in Riolo una fabbrica artigianale con una decina di operai per la produzione di impianti di illuminazione a gas acetilene, di biciclette e di paretai, cioè grandi apparecchi per uccellagione.

Nel 1903 presso gli editori Zamorani e Albertazzi di Bologna usci un opuscolo intitolato: "Generatore automatico per la produzione del gas acetilene. Sistema Ermenegildo Costa di Riolo."


Nel 1904 i1 Giornale dell'Emilia pubblicava:

"Ermenegildo Costa di Riolo presenta all'Esposizione Romagnola due sue invenzioni molto apprezzate dai visitatori e dalla stampa: un impianto per l'illuminazione a gas acetilene ed un paretaio verticale, premiati con medaglia d'oro dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio"


Una medaglia d'argento aveva ottenuto l'anno precedente, e un'altra d'oro ebbe alla International Exhibition of        Art and Industry di        Londra nel         1911.

Fornì impianti di illuminazione a molti comuni, fra cui quello di Bologna, a scuole,         enti dell'Emilia Romagna, fino al 1914, cioè fino al completo trionfo della luce elettrica.

Nel contempo aveva impiantato anche una fabbrica per la produzione di pallini di piombo per cartucce da caccia.

Si dedicava inoltre a varie altre attività, ad esempio quella di sfruttare una ricca vena di acque salsoiodiche che aveva scoperto nel podere Mioletta di sua proprietà e che veniva venduta tramite il riolese Tommaso Dapporto in tutta la Romagna e nel Ferrarese, e che aveva depositi a Bagnara e a Solarolo.

Partecipava anche alla politica locale. Nel 1902 e 1908 fu eletto Sindaco facente funzione, Prosindaco nel 1911 e Sindaco dal 1915 al 1921.

Fondò l'Associazione Sportiva Riolese, la Pro Loco e altre istituzioni. 

Nonostante tale e così vasta attività non riuscì mai ad arricchirsi, e ciò per la semplice ragione che metteva troppa carne al fuoco, e che era la negazione dell'affarista. A ciò si aggiunga che non sapeva farsi pagare e buona parte della sua clientela non saldava i conti. 

Nel 1911 poté tuttavia costruire una sontuosa dimora, la Villa dell'Orologio, i cui ampi sotterranei riempì di macchinari ed attrezzi meccanici d' ogni specie.

La Villa dell'Orologio negli anni '30


La Villa dell'Orologio inizio anni '50.


Lì attuò l'opera forse più geniale della sua vita: una serie di impianti che funzionavano gratuitamente, sfruttando, mediante chiusa e turbina, la forza idrica dell'adiacente canale del Mulino di Serravalle. C'era la macchina per arrotare zappe, badili, coltelli; quella per fabbricare vernici, e reti metalliche, e altre cose che ora mi sfuggono; quella per vagliare il grano da seme, per selezionare secondo il calibro i pallini da caccia; trapani, fresatrici, torni, e una grande segheria per tronchi d'alberi che presto ebbe tanto lavoro da non riuscire a smaltirlo.

Potevano funzionare contemporaneamente e in modo automatico tutte quelle macchine. 

La segheria Sirotti di Riolo, che funzionava con l'energia elettrica e con il carburante, e che era costretta a tenere alti i prezzi per non rimetterci, si ridusse presto a mal partito, e tanto fece e strepitò che riuscì a convincere i Bubani, proprietari del canale, a negare l'uso della chiusa e della turbina al nonno, il quale, con grande, immenso dispiacere, dopo qualche anno dovette smontare tutto.

Da quel momento, 1922, egli cessò ogni sua attività industriale per dedicarsi a lavori artigianali, che costituivano un passatempo più che una vera fonte di guadagno.

Nel campo della meccanica sapeva fare di tutto: riparava e costruiva di sana pianta oro1ogi da campanile, fucili da caccia, occhiali metallici, e molte altre cose che qui sarebbe troppo lungo elencare.

Nessuno meglio di lui sapeva aggiustare un orologio da tasca, per quanto mal ridotto: ricorrevano a lui anche dalle vicine città.

Il famoso latinista Contoli, dopo che gli ebbe rimesso in moto l'orologio che nessuno gli aveva saputo aggiustare, gli dedicò questo epigramma intitolato appunto "Horologium ab Hermenegildo Costa instauratus":


Machina quae fueram prius horis ficta notandis

Nunc falsum emotis partibus edo sonum.

Hermenegildus adest, operumque artisque peritus

Qui cito me rectum carpere iussit iter


        Macchina, già costruita per segnare le ore,

ora, sconvolti gli ingranaggi, emetto un falso suono.

Ma ecco Ermenegildo, esperto nell'opere e nell'arte, che subito mi ordina di riprendere il giusto cammino

Spesso lo chiamavano ad aggiustare orologi da piazza in lontane città. 

A Fontanelice cadde da un'altezza di quattro metri nell'interno del campanile e tornò a casa con quattro o cinque costole rotte.

Era conosciuto un po' in tutta la Romagna e localmente era diventato proverbiale; la gente, di un oggetto non riparabile, soleva dire: "Quèst un l'amésa gnanc é sgnor Gildo".


Teneva in casa anche un piccolo laboratorio chimico. Fra l'altro, aveva inventato una medicina per i calli a base di estratto di aglio, acido salicilico, collodio ecc. Era molto richiesta e veniva apposta da Faenza a prenderla perfino il conte Ferniani. La confezionava in bottigliette con tappo e pennellino.

Nelle ore libere, esercitava anche egregiamente l'arte dell'orticoltura e del giardinaggio. Nella terra adiacente alla Villa dell'Orologio cresceva rigogliosa ogni qualità frutta, verdura e legumi; pesche, mele, pere, susine, albicocche, kaki, ciliegie, cocomeri e meloni, avellane, uve da tavola, noci, mandorle, e per giunta di qualità diverse.

C'erano, ad esempio, le ciliegie gialle, le prugne che maturavano nel mese di dicembre, una decina di specie di meloni dei quali era molto ghiotto e i cui semi faceva venire perfino dall'estero. C'era poi un pezzo di terra coltivato ad arachidi, cioè noccioline americane, con una produzione di circa due quintali l'anno. C'era un tipo di fagiolini il cui sottile baccello raggiungeva la lunghezza di 80-100 centimetri e che, cotti ancor verdi in umido, costituivano una eccezionale squisitezza.

Non mancavano naturalmente i pomodori, le insalate, i radicchi, gli asparagi, i peperoni. Fra questi ultimi prediligeva i capsici, con i quali, dopo averli essiccati al sole, produceva una sorta di pepe micidiale.

Nel giardino, oltre a cento qualità di fiori, coltivava piante medicinali, ed in particolare lo stramonio, dalle cui foglie ricavava un surrogato di tabacco che; distribuiva gratuitamente agli asmatici che venivano a curarsi alle Terme.

Fu il primo ad introdurre in Emila Romagna la Citrus triptera, vulgo limonia, quella pianta adattissima per siepi spinose che fruttifica una sorta di limoncini selvatici. 

Fu tra i promotori della Ferrovia Castel Bolognese-Riolo e presiedette alla sua inaugurazione.

Nel 1915 fece cambiare l'antico nome di Riolo Secco in Riolo dei Bagni. Istituì l'Associazione Pro Riolo per incrementare l'afflusso dei forestieri alle Terme.

Fondò l'A.R.S., Associazione Riolese Sportiva.

Propose nel 1918 l'erezione di un monumento ai Caduti, la Chiesina del Presidio, opera poi condotta a compimento dal suocero Ugo Cicognani.

Fece costruire l'Ospedale Civile, quello in fondo al Viale Mazzini dove ebbe poi sede la scuola d'avviamento e media.

Costruì il primo lotto di case popolari, la strada di circonvallazione, il Viale delle Mimose, il nuovo macello, fondò la cooperativa agricola, istituì un premio di Lire 6000 per chi impiantasse una qualsiasi industria in Riolo e desse lavoro ai disoccupati.

La sua camera-laboratorio era tappezzata di diplomi e attestati di benemerenza purtroppo andati distrutti nell'ultima guerra. Ecco uno stralcio di articolo pubblicato dai giornali:


"Riolo. 31 agosto 1920. 

Una grave siccità colpisce il paese nell'estate del 1920. L'acquedotto pubblico, costruito nel 1898 a cura del sindaco Anselmo Mongardi, già insufficiente ai bisogni della popolazione riolese, specie durante la stagione di afflusso dei forestieri, è del tutto esaurito. Anche lo Stabilimento Balneare è privo di acqua potabile e viene a mancare perfino l'acqua per il funzionamento delle caldaie. La situazione si è fatta drammatica ed urge una soluzione.

Fortunatamente il sindaco, Ermenegildo Costa, è un esperto ricercatore di acqua, e la giunta municipale gli affida il più ampio mandato affinché voglia adoperarsi per sollevare il paese da un simile disagio. Nello spazio di un mese il sindaco Costa ha già scoperto e messo in opera una polla di acqua potabile più che sufficiente ad alimentare gli acquedotti del paese e dello Stabilimento. In data 20 agosto viene stipulata una convenzione con il commendator Bonetti, nuovo proprietario delle Terme, il quale si impegna a corrispondere al Comune per la fornitura dell'acqua una somma di Lire 750 all'anno, compensando cosi largamente la spesa minima sostenuta per l'allacciamento della nuova sorgente".

Al sindaco Ermenegildo Costa viene donata in segno di gratitudine un'artistica pergamena contenuta in una preziosa cornice rinascimentale con 1a scritta:

"Con sollecitudine di provvido amministratore, con genialità e competenza di tecnico peritissimo, Ermenegildo Costa, Sindaco del Comune di Riolo, nella state dell'anno 1920, quando maggiore incombeva il disagio di una siccità da più mesi persistente, intuì e derivò dalle profondità del sottosuolo nell'antico alveo del fiume Senio una fluentissima polla d'acqua potabile e con 1ieve carico del pubblico erario in brevissimo periodo di tempo ne rinfrancò per sempre gli esausti acquedotti del paese e dello Stabilimento Idroterapico

A perpetua commemorazione dell'opera benefica e saviamente ideata e condotta e ad onorarne l'autore, amici ed ammiratori dedicano"„



Rami collaterali famosi


Da Miola, ovviamente, dato che i Costa erano piuttosto prolifici, si diramarono innumerevoli famig1ie, molte delle quali emigrarono nelle vicine città, fecero fortuna, si imparentarono con famiglie nobili quali i conti Alessandretti, i conti Codronchi di Imola, i conti Cavina di Faenza, ed ebbero anche personaggi illustri.


Gasparo Costa 

A Castel Bolognese, Gasparo Costa, poeta arcadico sotto lo pseudonimo di Ordalgo, che nel 1747 pubblicò due volumi di rime e sonetti.

Fabrizio Costa

Il capitano Fabrizio Costa di Riolo fu aggregato alla nobiltà imolese allorché si trasferì in Imola. 

Bernardo Costa

Il capitano Bernardo Costa, di un ramo collaterale, fu aggregato alla nobiltà di Faenza.

Andrea Costa

A Imola, Andrea Costa, nato nel 1851, morto nel 1910, fondatore del Movimento Socialista in Italia (Andrea Costa era figlio di un trovatello – Pietro Casadio – che fu successivamente legittimato dal padre, un Costa di Imola, imparentato con i Costa di Miola.


Andrea Costa, Deputato del Regno d'Italia

Paolo Costa

A Ravenna, Paolo Costa, nato nel 1771, morto nel 1836, illustre letterato, filologo e purista.


Il frontespizio dell'opera più famosa di Paolo Costa (il timbro azzurro riporta il monogramma di Ermenegildo Costa)


Tra le famiglie Costa che mantennero la dimora in territorio riolese vi furono rappresentanti non meno illustri: i notai Romagnolo Costa, Giovan Battista Costa, Orazio Costa, Giuseppe Maria Costa ed anche alti prelati come ad esempio mons. Marcantonio Costa che fu uditore della camera ecclesiastica, vicario generale dell'abbazia di San Giovanni in Laterano di Avignone in Francia e morì in Roma il 30 aprile 1748, sepolto nella chiesa di San Lorenzo, ed altri ancora.

11 febbraio 1990, domenica, ore 20


Muore, nell'ospedale di Faenza, Gina Costa vedova Fabbri, ultima superstite della famiglia di Miola. Era nata a Miola l'11 dicembre del 1898 da Orlando Costa e Marianna Bargilli.

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