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A Ferrara, tra vecchi, si racconta una leggenda: che dietro le Mura degli Angeli esistesse non molto tempo fa un giardino proibito, con una magna domus al centro, un campo di terra battuta, una palestra, un bosco di platani… e che quel giardino fosse abitato da una principessa bionda che amava circondarsi nella sua stanza di bicchieri e ampolle di vetro soffiato e cristalli di Boemia, sorvegliata da un cane…
In molti giurano d’avermi avvicinata e d’essersi innamorati. Lasciavano le biciclette al muro e scalavano fin dove si poteva su dei chiodi arrugginiti per vedermi giocare a tennis, con gli shorts e la maglietta di cotone, e le cosce luminose, il viso lungo e quell’aria di intollerabile provvisorietà. Mi chiamavo Micòl e a volte mi oscurava la consapevolezza che anche le cose muoiono e che non conta il loro possesso, ma solo la memoria. Appartenevo a una famiglia colpita da un triste sortilegio che le leggi razziali e le deportazioni nazifasciste atrocemente rinnovarono: la forzata consuetudine a un mondo di oggetti spenti e inutili: ascensori di legno, carrozze, cristallerie…



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