200 personaggi in cerca d



Da davanti la mia testa è un uomo vivo, da dietro un uomo morto, ha scritto il poeta Vicente Huidobro. Sono versi che mi stanno addosso meglio della giacca che porto, una giacca cucita sopra un manichino da un sarto che era anche il padre del mio amore perduto.
Si vede che sono molto distratto perché l’amore, per la verità, l’ho perduto due volte. Il primo, a ventinove anni. Si chiamava Isabel, ma non riesco più a ricordare il suo sguardo. Solo la pelle. La memoria delle mani è sempre più duratura di quella degli occhi, perché è la memoria di ciò che si tocca. Mi ha lasciato vedovo con tre figli. Il secondo amore l’ho perso a pochi giorni dalla pensione. Per un’influenza. Era molto più giovane di me, una nuova collega che non so come avesse disinceppato il meccanismo dei miei sentimenti.
Prima di lei una domanda suonava sempre nella mia testa, alla maniera di Gardel: che ho fatto della mia vita? Ingrigivo in un ufficio tra libri mastri e bollettari di vendita come un uomo maturo e intelligente, ma spento, con la sua patetica paura di invecchiare, una verruca sul collo, gli occhi stanchi, la deprimente asimmetria della calvizie. Un maniaco dell’equidistanza che non andava da nessuna parte perché da nessuna parte si era mai sentito a suo agio. Un tipo senza vizi, se non quello, incurabile, di rimandare tutto, anche la felicità. Pure nel fare l’amore, mi ha detto una donna una volta, mantenevo un’espressione da impiegato. Ma non ho mai smesso di pensare con la mia testa nella fila di domeniche insulse che è diventata la mia settimana. Nessuno dei miei figli mi somiglia e neppure con loro sono mai venuto a capo di niente.
Ora rincaso solitario e osservo i cambiamenti della mia grafia nel tempo. Continuo a svuotare cassetti. So come ci si sente quando si è opacamente infelici, e non c’è posto per la ribellione, e si piange senza rumore. So anche cosa si prova quando scade una tregua e si ritorna confinati nel proprio destino, svuotati di tutto. Certi pomeriggi, mi siedo ancora in un caffè qualunque di Montevideo e segno su un tovagliolo di carta i particolari delle passanti che mi piacciono di più. Ma solo come una vecchia abitudine, perché non ci saranno altri fianchi a emozionarmi dopo quelli di Laura.



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