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Mara dice di avere gli occhi gialli, io li ho scuri, come i capelli. Lei è vivace, sgarbata e tenera come la sua adolescenza. Anche sfacciata e bugiarda, quando serve. Io sono serio e asciutto, uno zaino in spalla e un fazzoletto rosso al collo. Sono un giovane brusco di modi, con una smorfia per sorriso, facile soltanto a metter mano alla rivoltella. Tra i partigiani mi chiamavano Vendicatore, perché avevo una mia infantile idea di giustizia: vendicare la mia gente di tutti i torti subiti, come quello di nascere poveri, e orfani, e offesi.
All’inizio il nostro amore fu un gioco di ritrosie e di abbandoni, di stoffa di paracadute per regalo, di tasche scucite e scarpe coi tacchi, di promesse sventate. Tra capanni di calce secca, e filari, terra zappata di fresco, boschi, ciliegi. All’ultimo, una storia di dolorosa fedeltà, consumata sul confine del parlatorio di un carcere, tra due inferriate. Da un lato il femminile coraggio di Mara di accettare il suo destino disgraziato; dall’altro, la nostra innocenza perduta nella guerra, insieme alla giovinezza.



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