200 personaggi in cerca d



Sono lì, in mezzo al campo sportivo, a pochi metri dalla fine della maratona dei riformatori, in maglietta e calzoncini, magro e lungo come un levriero, mentre il vapore del mio fiato imperla l’aria e un pubblico di voci beneducate urla, e applaude, e mi ordina di correre. Ma io sono cieco e sordo in tutto quel frastuono, e mastico una corteccia d’albero, e rallento il passo. Potrei vincerla facile questa gara, ma attraversare un pezzo di corda di bucato che chiamano traguardo non significa niente. Anche quelle due o tre storie che ho letto nei libri e che terminavano sempre con un traguardo non mi hanno insegnato nulla. Perché non c’è nessuna gara o coppa, sono tutte trappole: per me c’è solo l’odore del caprifoglio, e le mie ossa ammaccate, e le fitte nel fianco. E frasi da scrivere con un mozzicone di matita che costano centinaia di chilometri.
Tra me e il mondo è in corso una guerra.
Nella mia famiglia hanno sempre corso tutti: per scappare dalla polizia, e dagli altri bastardi con la legge in mano. Via dai sorveglianti, dalle case di correzione, dai direttori dei riformatori col muso da militare, da quelli che hanno sempre il coltello dalla parte del manico e sono abituati a mettersi la gente sotto i piedi. Meglio così, sempre in fuga per un pacchetto di sigarette o una conserva di marmellata, nell’asfalto nero delle periferie, tra la galera e il capestro. Meglio così piuttosto che finire come loro, che sono morti e non lo sanno. Ma non bisogna mai avere fretta, e anche di correre ci si deve dimenticare: questo è il segreto. Perché Smith non è un cavallo da trotto, che si fa mettere nel sacco: Smith ha nel muscolo del cuore un accidente di vita che nessuno conosce.



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