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Pensieri di colori diversi mi riempiono il cervello. Se me ne sto fermo davanti a una ciotola di tè caldo, riesco a sentire il ronzio che fanno nella mia testa. Sono un idiota, l’ultimo discendente della dinastia Maichi.
Quando mio padre mi concepì con la sua seconda moglie era ubriaco. Io entrai nel mondo umano, fatto di midollo o radice, con il mio passo stolto. Capivo solo le verità elementari. Ero figlio di un capo e ogni tanto mi prendeva il desiderio di divenire capo anch’io e di governare migliaia di persone, come quando da ragazzo guidai una caccia di tordi sulla neve.
Crescendo, imparai il profilo dei monaci, e quello degli Emissari Speciali, e l’orlatura sacra del Tibet; la paura dei topi, l’odio familiare, la cupidigia degli uomini, il viavai dell’oppio; scoprii che le persone intelligenti sono marmotte che non hanno mai pace, e che gli occidentali puzzano, e che i miei sogni erano bianchi come i seni delle donne.
Ma non da idiota né da savio assistetti alla morte e al suicidio della mia gente, o al passaggio di carovane di prostitute e di malattie dai nomi fatali. Io non fui che un viandante transitato tra queste montagne quando i palazzi cominciarono a crollare e quest’era a finire. Ora sto aspettando anche per me un assassino che venga a consumare un’antica vendetta.
La mia famiglia, ormai, è solo una nuvola di polvere gialla, un sudario di ombra e di nebbia che ricopre i sentieri. Un incendio di papaveri mi fiorisce in cuore. Presto tutto si farà bianco come la loro linfa e la mia anima svanirà nel sangue.



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