200 personaggi in cerca d



Al ristorante Vittoria, ordino sempre lo stesso piatto: una porzione di fegato di maiale saltato e cento grammi di miglio. Il vino lo voglio caldo, dico battendo le mani sul tavolo. Così mi hanno insegnato due contadini. Per dare vigore alla circolazione e arricchire il sangue, dopo averlo venduto.
Sì, lo so che vendere il proprio sangue è pericoloso e disonorevole, è come vendersi i propri antenati, e che dopo ci si sente come quando si scende dal corpo di una donna, ma è l’unica risorsa che possiedo.
Per tutta la vita ho trasportato bachi da seta su una carriola in un reparto della fabbrica della città. Mia moglie era così bella che un tempo la chiamavano la Venere delle frittelle, ma dopo averla sposata non passavano tre giorni che si sedeva sulla soglia a piangere e a strepitare, a raccontare a tutto il quartiere i nostri guai.
Al tempo della carestia, quando nemmeno più il sangue avevo da vendere e i miei figli, Felice Uno, Felice Due e Felice Tre, morivano di fame, gli insegnai a mangiare con le orecchie e poi solo con la voce gli preparai una cena memorabile. Felice Uno era il mio preferito, ma l’aveva concepito un altro, eppure, quando è stato malato, il mio sangue l’ho venduto molte volte, in tre mesi, per curarlo.
Ora ho i capelli bianchi e mi mancano sette denti, ma vedo le cose «con la stessa chiarezza di un tempo». Non so scrivere le lettere straniere che indicano il mio gruppo sanguigno, so solo che il mio sangue è un cerchio. E che è denso e nerastro, e sopra vi galleggia un po’ di schiuma.



Scrivi il nome dell'autore del personaggio: