200 personaggi in cerca d



La mia giornata comincia con le lamentele di un acquirente e una violenta strapazzata da parte dei miei superiori, e io che me la faccio sotto, a testa bassa, e aziono con sapiente tempismo le mie ghiandole lacrimali, e mi rotolo per terra con la bava alla bocca – nessuno sa piangere in maniera più convincente: sono l’immagine stessa dell’angustia e dell’umiliazione, un povero cristo in procinto d’essere licenziato. Finisce sempre con il ritiro del reclamo; con un’onda di compassione che trasfigura anche il più irriducibile dei clienti. In un reparto Controllo Tecnico del Grande Magazzino come negli affollati corridoi di una casa editrice.
Ma lasciatemi presentare: Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio. Un mestiere usurante, vi assicuro. Da mattina a sera è un continuo di lavate di capo, e predicozzi, e mortificazioni. Un lavoro da santo: io sono quello che paga per tutti, il filo di terra, il salvavita, lo stratagemma più efficace dell’azienda, il povero di spirito che prende su di sé i peccati del Commercio. Suscito istinti da kapò nei miei colleghi e slanci di autentica umanità nella gente comune. Ma tutti riconoscono che il mio ruolo lo svolgo egregiamente. Ci sono tagliato, ho un vero talento per questo.
Prima di scoprirlo, avevo lavorato come magazziniere, intervistatore-saponetta, barista, tassista, insegnante di disegno in un pio istituto… Del resto, ho una strampalata tribù senza genitori da mantenere. Mia madre è sempre incinta e altrove, e i miei fratelli li ho dovuti crescere da solo: Thérese la sensitiva, Jérémy il pestifero, Clara la fotografa, il Piccolo dagli occhiali rosa che disegna Orchi Natale, la sorellina con il nome di una battaglia… più tutti quelli venuti dopo: i nipoti, i figli… più un cane epilettico che puzza come una discarica comunale e fa le linguacce… le uniche distrazioni che mi sono concesso sono state rimorchiare le belle ladre che si aggiravano nel piano della biancheria e ogni martedì sera, fino a mezzanotte, spostare la legna con un guardiano notturno serbo: era il nostro modo di chiamare il gioco degli scacchi.
Ma tutto questo può accadere soltanto in un quartiere come il mio: un quartiere di affari tenebrosi, e spacciatori, e datteri, e peperoni, di zie uomini e di irresistibili giornaliste freelance, di muezzin, arabi, senegalesi, armeni, algerini, vietnamiti, e lanci di dadi su scatole di cartone, lampi di lame, fratelli maggiori, cuscus e spiedini…



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