200 personaggi in cerca d



Mi vennero a prendere per una semplice formalità. Un uomo con i baffi, e uno con l’impermeabile; alle cinque di mattina, su una Fiat nera. Dissero che non avevo nulla da temere. Era l’anno del golpe, in Cile, e un corteo funebre aveva appena accompagnato Pablo Neruda al Cemeterio General di Santiago, cantando l’Internazionale.
Di me, Mario Jiménez, nato il 7 febbraio del 1952, non si seppe più nulla. Ma corre voce, a Isla Negra, che io lavori ancora nel retrocucina dell’osteria di mia suocera. E che la sera inforchi una Legnano arrugginita, sotto una pioggia costiera, con la borsa di cuoio a tracolla, e la divisa da postino, e il taglio dei capelli ancora alla Beatles.
Attraverso le case dei pescatori, spiegano i vecchi, quella di mio padre, i cortili, e incido su un magnetofono tutti i suoni che incontro: il vento sul campanile, le onde che si ritirano, gli alveari delle api, il sorriso di farfalla di Beatriz, il pianto di nostro figlio… Quando sono stanco mi siedo su un muretto e scrivo versi e pensieri sopra un quaderno a quadretti di marca Torre.
Vado a consegnare la corrispondenza all’unico cliente che l’ufficio postale del mio villaggio ha avuto: il Poeta, l’uomo che mi aveva insegnato cos’è una metafora, e che le parole possono muoversi come il mare, e che la loro casa è la bocca, ma devono essere assaporate lentamente se con le parole si vuole arrivare a toccare una donna. Neruda mi chiamava Mario-dai-piedi-alati ed era venuto con me al bar, in poncho, per aiutarmi a sedurre Beatriz.
Raccontano ancora i vecchi che noi due, un postino e un poeta, ci sediamo tutte le notti in una terrazza, di fronte a una bottiglia di vino Cousiño Macul Antiguas Reservas e, se si fa attenzione, ci si sente parlare fino all’alba, non finire mai di chiederci di cosa sia metafora il mondo.



Scrivi il nome dell'autore del personaggio: