200 personaggi in cerca d



È l’alba. Il bastimento del vescovo fa una sosta al porto mentre cantano i galli. Poi riparte. Io, Santiago Nasar, figlio dell’arabo Ibrahim, attraverso il paese vestito di bianco e pallido come se già fossi un fantasma. La fatalità rende invisibili, scriverà dopo, con inchiostro rosso, un giudice istruttore ai margini dell’inchiesta. Per quasi un’ora il tempo si ferma intorno al mio volto saraceno e ai miei capelli ricciuti. Tutti sanno ciò che sta per accadere, ma pochi ci credono e nessuno riesce a impedirlo. Nemmeno il sogno premonitore di un bosco alberato sotto una pioggerella tenera. Senza possibilità d’inciampo, ogni cosa concorre affinché si compia lo scempio feroce del mio ammazzamento. Lo vogliono le regole, valide anche ai Tropici, della rusticana cavalleria degli uomini. Ma soprattutto lo esige l’assurda geometria del caso e delle sue imboscate. Avvolto da un senso di inesorabilità e di deriva, muovo ignaro incontro al mio destino nella piazza ancora intontita dalla levataccia e dai bagordi del pranzo di nozze di Angela Vicario e Bayardo San Román. Bello di fama e di sventura, sarò la vittima prescelta di un’eterna vicenda che gli aedi di ogni secolo continueranno, con la precisione di un cronometro, ad anatomizzare.
Solo io, Maria Alejandrina Cervantes, nuda, all’alba, seduta alla turca sul mio letto di regina davanti a una cotoletta di vitella, a una gallina bollita, a una lombata di maiale e a un contorno di banane e legumi che sarebbero bastati per cinque persone, continuo a mangiare. Mangiare smodatamente è la mia unica maniera di piangere. E di piangere per il destino che non si può mutare, stavolta, non so smettere. Io, che avevo smantellato la verginità di un’intera generazione del mio paese, insegnando a tutti che nella vita non c’è luogo più triste di un letto vuoto; ch’ero sempre stata la più generosa e la più severa. Piango di rabbia contro la morte precoce, nera e greca. Piango le deliranti passioni che ci perdono senza rimedio.



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