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I testi ufficiali mi descrivevano come un minotauro di dimensioni spropositate. Non passavo dalle porte, e avevo grandi zampe d’elefante, e zecche di bue sul corpo, e squame di pesce, e più di cinquemila figli, tutti settimini.
Ero il più vecchio di tutti gli uomini e di tutti gli animali vecchi della terra, tanto da avere avuto a centocinquant’anni una terza dentizione e da essere stato presente il giorno in cui le caravelle di Colombo giunsero sulla nostra terra. L’orario della mia vita non era sottoposto alle norme del tempo umano, bensì ai cicli della cometa.
Questo si diceva di me. Un patriarca inaccessibile e leggendario. Finché la ruota della morte e le ali degli avvoltoi non svegliarono la città dal suo letargo di secoli. E aprirono le porte del palazzo presidenziale, mostrando la verità che c’è dietro la verità: un misero vecchio quasi analfabeta al centro di una corte dei miracoli di servi e mendicanti. Con un vizio solitario: il mediocre esercizio della crudeltà, tutta la normalità del male.



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