200 personaggi in cerca d



Il mio inferno è ubicato a Quauhnahuac, Cuernavaca, in Messico. È una sciara nera e rugosa, abitata da uomini insabbiati in alberghi postribolo, cantine odorose di cuoio, giardini invasi dalla sterpaglia, cani randagi, scorpioni, avvoltoi e galli.
Per tutti sono il Señor Firmin, el Cónsul, l’americano con gli occhiali neri e le mani che tremano. Prima di riconoscere la mia fatale mancanza di vocazione, fui costretto a scendere sotto un vulcano e a non adempiere a nessuna carità. Passare attraverso donne che ritornano e lettere mai lette, alle grandi ruote volanti di una fiera, alle madonne dei diseredati, a chi parte per la Spagna o si batte in una corrida, al nome di Yvonne, a innumerevoli bottiglie di whisky, sifoni di soda, un jarro di ghiaccio…
Per uno come me, che cercava la lucidità nell’alcol, anche la calligrafia aveva un andamento ubriaco. Una volta comandai in una guerra una nave assassina e da allora non ho smesso di assassinare la mia vita. Per farmi trovare puntuale all’appuntamento con una morte micragnosa, in una bettola, il Farolito, alla fine della fuga. L’ultimo gioco o equivoco: fui scambiato per anarchico da un poliziotto fascista e poi gettato definitivamente nell’abisso di un burrone, insieme ai cani. Il 2 novembre del ’38. La festa dei morti.
In fondo, bastava imparare che no se puede vivir sin amor, e che questo forse spiegava ogni cosa.



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